“Vang Vien. Tutto è nato e tutto si è dissolto nel corso di pochissimi anni”, mi raccontava Asher, “Bali diventata una destinazione turistica come mille altre e poi la polizia, che si era messa a perseguire ogni sostanza stupefacente. I full moon parties al vulcano era diventati illegali, qualche organizzatore australiano finito in carcere, e poi tutti quei nuovi alberghi per ricchi pensionati americani nei santuari del surf come Uluwatu. Bali la trasgressiva era divenuta un luogo per turisti con il portafoglio pieno. Era troppo per tutti ed era il caso di andare via”.

In Asia rimaneva l’India, rimaneva ancora Goa. La spiaggia di Arambol è un posto straordinario, ma il legame tra la comunità di Osho a Puna e Goa si era interrotto e i parties sulla spiaggia di un tempo non era rimasto nulla di interessante, le feste techno a Vagator beach il venerdì sera erano simili a mille altre al mondo.

Serviva qualcosa di nuovo e diverso, così è cresciuta Vang Vieng, un luogo unico e lontano, fuori dagli schemi o come scrisse il Guardian nel 2011, “la città festaiola più improbabile del pianeta. Situato nel profondo del Laos centrale, uno dei paesi più poveri del sud-est asiatico, il villaggio agricolo, un tempo tranquillo, diventato un ribollente epicentro di backpackers”. 

Come tanta gente sia arrivata laggiù rimane un piccolo mistero, forse il passa parola di tanti ragazzi con lo zaino a Khaosan road a Bangkok. La star di Hollywood Leonardo Di Caprio aveva girato un film in quel quartiere di Bangkok ed a Phuket nel sud del paese, ma ad andarci non vi era nulla di quella magia che veniva raccontata nel film “The beach”. Il segreto era andare a nord e non a sud, verso il profondo perduto Laos. La cittadina si trova a mezza strada e quattro ore di bus tra Vientiane la capitale e Luang Prabang la città simbolo del Laos con i suoi templi. Vang Vieng non era tanto lontano dalla più grande piantagione di oppio del Laos, credo che la sua fama sia nata così, alla fine degli anni 60. 

Nel 2018 sono andato a visitarla per un’ultima volta. Le luci della festa erano state spente e moltissime attività erano state chiuse nel 2012, dopo una visita in incognito del primo ministro laotiano che voleva accertarsi di cosa succedeva laggiù. Nel 2011 oltre 170.000 giovani si recavano a Van Vieng per divertirsi tra alcol a buon mercato, ogni droga che si potesse trovare sul mercato e feste fino all’alba e poi i tanti morti per overdose ed incidenti di ogni sorta, che hanno acceso i riflettori sulla cittadina. Tanti troppi giovani provenienti dall’Europa, dagli Stati Uniti, Sud Africa ed Australia e da Israele, dopo il servizio militare sono soliti prendersi un anno sabbatico in Asia, Asher la mia guida era uno questi.

Per chi apparteneva alla mia generazione la generazione dei partieas fino all’alba con musica assordante sembrava appartenere ad un mondo distante. I miei fratelli maggiori avevano aperto la strada per l’Oriente e la sua spiritualità, i ragazzi di Vang Vieng cercavano lo sballo in un porto franco. Dell’Oriente mistico non era rimasto nulla, si contavano pochissime scuole di meditazione e di yoga e nessuno pareva interessato a visitare templi e bellezze naturali.

Se oggi i confini sono chiusi per la pandemia, tre anni fa Vang Vieng era un luogo di grande fascino. Le grandi montagne di calcare sovrastano le risaie e la cittadina, che rimane sonnolenta per buona parte della giornata. Le escursioni alle grotte di Tham Nam e Tham Chang ed alle cascate risultavano una piacevole gita, come i bagni nelle lagune naturali create dal fiume Song, mentre i turisti praticavano il tubing, ovvero farsi trascinare dalla corrente utilizzando una camera ad aria di un camion come ciambella di galleggiamento.   

Vang Vieng risultava una località che ha cambiato pelle per offrirsi ad una clientela più matura e eco-friendly, i prossimi anni ci racconteranno se la trasformazione si sarà perfezionata.

19 agosto

 

 

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