“Per la verità, non amo molto viaggiare. Tutti i miei viaggi li ho affrontati malvolentieri, la realtà dei nuovi paesi equivale quella dei vecchi. Le città mai viste, arrivandoci, mi preoccupano anzi come vere e proprie persone che bisogna prima attentamente conoscere se non si vuol correre il rischio di legarvisi con un’amicizia inutile e precipitosa.

Ennio Flaiano, irraggiungibile in tempi come i nostri dove ogni cosa è a portata di mano, senza che ci si capisca qualcosa.

“E i miei viaggi in Cina sono davvero poca cosa se li confronto a quei passi a tentoni nel buio, dal letto alla cucina, in cerca di un bicchier d’acqua.”, come ad Hong Kong alla fine degli anni 1960, ovvera “La Cina, vista dal buco della serratura e la stella rossa sull’attico della Bank of China”.

Flaiano è davvero incorreggibile, “ci sono molti modi di arrivare, il migliore è di non partire”, lo troviamo per il mondo per raccontarcelo in anni in cui la faccenda era pura pedagogia ad opera dei grandi scrittori, da Ercole Piatti a Pasolini, da Moravia a Soldati.

Formidabile l’aneddoto del volo interrotto. Flaiano si perde a New York, la città che scopre perfetta, dove ognuno può essere ciò che vuole e “nessuno glielo rimprovera” e scordarsi, diciamo così, di recarsi ad Hollywood  a ritirare l’Oscar per 8 ½ di cui aveva scritto la sceneggiatura. New York, la città libera di Michele Capozzi, il nostro amico, la protagonista del suo romanzo inedito in attesa di una pubblicazione postuma. New York tanto diversa dalla Cina, che è tanto alla moda nei nostri anni quando si guarda ad Oriente, alla ricerca di un solito nuovo sole ed avvenire.

“Ci deve essere qualcosa di più noioso dei libri che si scrivono sulla Cina: la Cina stessa” e poi riflessioni in libertà … “capire la Cina non è soltanto impossibile, ma inutile” e le sue donne, “ragazze gentili, coltivate, che rammentano le francesi per l’avarizia ma non per lo spirito. Il matrimonio è per loro una cosa serissima che non ha niente a che fare con l’amore … L’ideale della cinese è di essere mantenuta”.

Ancora Flaiano:

“Dovrei imparare la lezione di certi scrittori entusiasti che trovano tutto bello e giustificano col proseguire della vita gli orrori che si commettono in ogni città, ma non ci riesco. Sono un viaggiatore scontento” … “

Giorgio Manganelli lo pensa “come può essere attento un orafo, un miniaturista, un perfetto amanuense – alla piccola inquietudine, quel dolore portatile che può accompagnare una vita, che non è incompatibile col riso, con la noia e con la morte”.

E poi l’Oriente più vicino (anno 1961), quello di questi giorni, “un vero e proprio” immutabile e stucchevole:

“Beirut o il senso di una paura – l’arabo, la fine dell’Occidente, – il disordine, la sporcizia e le costruzioni nuovissime, proprio come in Italia, ma con qualcosa di più cupo, una spocchia nazionalista infantile. L’uomo che ci accompagna dice che alberghi come quelli di Beirut non ci sono in Europa, che l’aereoporto è il terzo al mondo, dopo quello di N.York e quello di Londra. Il giovane che siede davanti a noi, alla spiaggia, ha bottoni da polso reclame della Philips. Fuma il narghilè. Un antipasto con 28 piatti, alcuni buoni, altri stupidi e poveri”.

E’ tutto, c’è tutto.

Ennio Flaiano, nato a Pescara nel 1910 morto a Roma nel 1972

5 luglio

 

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