Slavoj Zikek ha un passo in più. Filosofo e psicoanalista, colto ma anche popolare, cattedre nelle più importanti Università ma comprensibile a tutti nei suoi libri e nelle sue interviste. L’articolo “The Chinese valley of tears” pubblicato una quindicina d’anni fa è un piccolo formidabile contributo alla comprensione del mistero cinese che tanto ci appassiona.
Scrive Zikek nel 2007, “L’esplosione del capitalismo in Cina fa sì che molti occidentali si chiedano quando emergerà la democrazia politica – come l’accompagnamento “naturale” del capitalismo – . Ma uno sguardo più attento dissipa rapidamente ogni speranza del genere.”
La previsione del filosofo sloveno si è realizzata, trovando la sua spiegazione nell’evoluzione del partito comunista cinese.
“Oggi la tragedia del grande balzo in avanti si ripete come una commedia. È diventato il rapido grande balzo in avanti del capitalismo verso la modernizzazione, con il vecchio slogan “fonderia di ferro in ogni villaggio” che riemerge come “un grattacielo in ogni strada”. La suprema ironia della storia è che lo stesso Mao Zedong ha creato le condizioni ideologiche per un rapido sviluppo capitalista. Qual è stata la sua chiamata al popolo, soprattutto ai giovani, durante la Rivoluzione Culturale? Non aspettare che qualcun altro ti dica cosa fare, hai il diritto di ribellarti! Quindi pensa e agisci per te stesso, distruggi le reliquie culturali, denuncia e attacca non solo i tuoi anziani, ma anche i funzionari del governo e del partito! Spazzate via i meccanismi statali repressivi e organizzatevi in comuni! E la chiamata di Mao è stata ascoltata. Ne seguì una tale esplosione di passione sfrenata da delegittimare ogni forma di autorità che, alla fine, Mao dovette chiamare l’esercito per ristabilire l’ordine. Il paradosso è che la battaglia chiave durante la Rivoluzione Culturale non fu tra l’apparato del Partito Comunista ei nemici tradizionalisti denunciati, ma tra il Partito Comunista e le forze che Mao stesso chiamò in essere. Una dinamica simile è visibile nella Cina odierna. Il Partito resuscita grandi tradizioni ideologiche per contenere le conseguenze disintegrative dell’esplosione capitalista che il Partito stesso ha creato. È con questo in mente che si dovrebbe leggere la recente campagna in Cina per far rivivere il marxismo come un’efficiente ideologia di stato. (Letteralmente centinaia di milioni di dollari USA vengono spesi per questa impresa.) Coloro che vedono questo come una minaccia alla liberalizzazione capitalista non capiscono assolutamente il punto. Per quanto strano possa sembrare, questo ritorno del marxismo è il segno del trionfo definitivo del capitalismo, il segno della sua piena istituzionalizzazione. Ad esempio, la Cina ha recentemente adottato misure legali per garantire la proprietà privata, una mossa che l’Occidente ha salutato come un passo cruciale verso la stabilità legale.”
Attraverso la lente di Zikek si decodificano i successivi quindici anni della Cina e la leadership di Xi Jinping, che arriva fino ai nostri giorni.
“Ma cosa succede se il promesso secondo atto democratico che segue la valle autoritaria delle lacrime non arriva mai? Questo è ciò che è così inquietante nella Cina di oggi: il suo capitalismo autoritario potrebbe non essere solo un residuo del nostro passato, ma un presagio del nostro futuro.”
Previsione spaventosa ma utile a decifrare i confini del tempo e della memoria, ed è qui che il filosofo multidisciplinare lascia il campo allo studioso di Lacan, perché la Cina vive nel nostro rimosso.
“La Cina moderna non è una distorsione orientale-dispotica del capitalismo, ma piuttosto la ripetizione dello sviluppo del capitalismo nella stessa Europa. All’inizio dell’era moderna, la maggior parte degli stati europei era tutt’altro che democratica. E se erano democratici (come era il caso dei Paesi Bassi durante il XVII secolo), era solo una democrazia dell’élite liberale possidente, non dei lavoratori. Le condizioni per il capitalismo sono state create e sostenute da una brutale dittatura statale, molto simile alla Cina di oggi. Lo stato ha legalizzato gli espropri violenti della gente comune, che li ha resi proletari. Lo stato poi li ha disciplinati, insegnando loro a conformarsi al loro nuovo ruolo ausiliario … Quindi non c’è niente di esotico nella Cina di oggi: sta semplicemente ripetendo il nostro passato dimenticato. Ma che dire del ripensamento di alcuni critici liberali occidentali che chiedono quanto sarebbe stato più rapido lo sviluppo della Cina se il paese fosse cresciuto nel contesto di una democrazia politica? Il filosofo tedesco-britannico Ralf Dahrendorf ha collegato la crescente sfiducia nella democrazia al fatto che, dopo ogni cambiamento rivoluzionario, la strada verso una nuova prosperità conduce attraverso una “valle di lacrime”. In altre parole, dopo il crollo del socialismo di stato, un paese non può diventare immediatamente un’economia di mercato di successo. Il limitato – ma reale – welfare e sicurezza socialista devono essere smantellati, e questi primi passi sono necessari e dolorosi. Per Dahrendorf, questo passaggio attraverso la “valle delle lacrime” dura più a lungo del periodo medio tra le elezioni democratiche. Di conseguenza, la tentazione è grande per i leader di un paese democratico di rimandare cambiamenti difficili per guadagni elettorali a breve termine. Nell’Europa occidentale il passaggio dal welfare state alla nuova economia globale ha comportato dolorose rinunce, minori sicurezze e minori garanzie sociali. Nelle nazioni post-comuniste, i risultati economici di questo nuovo ordine democratico hanno deluso ampi strati della popolazione, che, nei giorni gloriosi del 1989, equiparavano la democrazia all’abbondanza delle società consumistiche occidentali. E ora, 20 anni dopo, quando manca ancora l’abbondanza, danno la colpa alla democrazia stessa.”
Abbiamo dato voce a Zikek, non lo abbiamo interrotto e commentato oltre modo, ricordando il vecchio assioma di Churchill sulla democrazia, come il minore dei peggiori sistemi di governo che è una formulazione brillante e utile al modello liberista, implicitamente pessimista sulla natura umana. Oltretutto funzionale, perché pare un dolce mantra a cui abbandonarci, fino a credere alla pax mercatoria di Chen o la fine della storia di Fukuyama, ma che oggi confligge con la nuova modernità ed efficienza dell’autoritarismo cinese. Quest’ultimo è quanto più lontano da quella che era ritenuta la controparte del liberismo, ovvero la “tirannia del bene”, la virtù giacobina o stalinista.
Altrove, Zikek ha osservato come lo stato-nazione sovrano mostra i germi dell’espansione territoriale e la vocazione alla guerra e l’eroismo (Hegel ipse dixit), perchè il partito si nutre di patriottismo e diffidenza verso l’altro, al punto di poter ipotizzare che anche i cinesi abbiano un inconscio (!?).
20 giugno