Saigon nell’estate del 1983 aveva cambiato nome e le bandiere rosse sventolavano sulla città francese. Le strade erano affollate di ragazzi in bicicletta, gli anziani gestivano piccoli commerci e negozi spogli di tutto, ricordo una città giovane perché la guerra si era portata via le vite di tanti adulti.

Rimane nitido il ricordo di quel tempo di mezzo, l’ebrezza della vittoria contro una potenza era sfumata negli anni della ricostruzione. Pochi anni prima il Vietnam aveva subito l’invasione dell’esercito cinese mostrando che le cose era più complicate di quanto annunciavano i grandi cartelloni per le strade, che ricordavano la vittoria del comunismo. Mi parevano già vecchi quanto l’anima francese della città e la chiesa di Notre Dame in mattoni rossi.

Il caldo umido ti invitava a vivere la notte fino ad esserne inghiottito. Uscivo quasi di soppiatto dalla Guest House quando era buio, scoprivo sapori sconosciuti sui mercati di strada come la Bum Man, la zuppa di carne con una salsa di pesce fermentata ed agrodolce e vermicelli di riso e la birra locale Bia Saigon al mercato di Ben Thanh. 

I vietnamiti mi guardavano con la stessa curiosità che avevo per loro e mi parlavano in francese. Ricordo un uomo di mezza età Nguyen, che si esprimeva in uno strano dialetto francese il Tay Boi. Si avvicinò quando comprese che ero italiano, anni prima aveva passato un’estate a Bordighera con una famiglia francese che lo aveva a servizio. Mi chiese di quella strana salsa verde, il pesto, che noi italiani mangiavano con vermicelli di farina di grano perché ne voleva la ricetta.

Mi raccontò della sua vita fumando un pacchetto di sigarette Craven A, lui dalla parte sbagliata della storia con gli occidentali e suo fratello che aveva combattuto dieci anni con i vietcong. Al polso aveva un orologio Hamilton di un soldato americano di cui era orgogliosissimo, era il regalo di suo fratello a stabilire la riconciliazione anche in famiglia.

Saigon si muoveva veloce in bicicletta, i motorini erano il sogno di ogni vietnamita e solo alcuni tra di loro se lo poteva permettere. Saigon era povera, non aveva grattacieli, centri commerciali, alberghi di lusso e neppure quelle meravigliose galleria d’arte che oggi ne fanno una capitale del mondo.

Quarant’anni dopo della città che avevo conosciuto rimane poco, sono i volti delle persone ad essere differenti perché hanno conosciuto un nuovo benessere, il paese macina record economici di crescita +3,5% anche nel terribile 2020 ed è tra quelli che ha controllato meglio la crisi Covid.    

Oggi leggo che un imprenditore locale vuol riportare attraverso un servizio di fitto ad ore le biciclette sulla Dong Khoi Street, la via del lusso e dello shopping, che qualcuno vorrebbe ribattezzare Rue Catinat come ai tempi della colonia. Per il momento pensa ad un servizio limitato a poche centinaia di mezzi, esattamente come nelle città europee al prezzo neanche economico di 50 centesimi ogni mezz’ora, solamente dieci anni fa sarebbe stato una follia solo pensarlo.

Sarà dolce tornare a Saigon il prossimo novembre per l’annuale Vietnam International Textile & Garment Industry e rivedere i vietnamiti in bicicletta, Saigon ho detto, perché per tutti quello è il nome della città sul fiume.   

9 gennaio

si ringrazia per le fotografie:

https://saigoneer.com/saigon-heritage/6527-30-photos-of-1980s-1990s-saigon

https://e.vnexpress.net/news/life/hanoi-saigon-in-the-80s-through-a-french-lens-beauty-lies-in-simplicity-3405001.html

altre immagini sono presenti nei siti

 

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