La prima volta che sono andato ad Hong Kong è stato intorno al 2005, il mio amico Marco aveva ottenuto un incarico presso un’importante multinazionale italiana e mi invitò ad andare a trovarlo per un paio di settimane.
Mi piacque quella strana città fatta di scale mobili, che ti portavano al porto di mattino e cambiavano direzione la sera, per riportare i lavoratori fino alla mezza collina del Peak, la montagna che domina Victoria Bay.
I grattacieli modernissimi, ma anche i piccoli angoli della città vecchia, dove all’ombra di un frangipane era possibile rinfrescarsi sorseggiando un te al gelsomino ghiacciato, le vie strettissime e tortuose e poi i parchi lussureggianti e tropicali.
Il traghetto bianco e verde dello Star Ferry, che al prezzo di un nulla ti portava verso Tsim Sha Tsui sulla penisola di Kowloon, la città nuova da dove si poteva osservare la propriamente detta isola di Hong Kong con il suo straordinario skyline.
Marco lavorava poco lontano, sulla Canton Road, spesso terminato il lavoro, si decideva di passare la serata a Macao, dall’altra parte dell’estuario del fiume Perla al costo di pochi dollari locali si prendeva un aliscafo che ti riportava indietro nel tempo, ad un mondo cino-portoghese fatto di via lastricate e azulejos alle pareti degli edifici, che esalava gli ultimi respiri.
Il decadente e lussuoso casinò Lisboa frequentato da cinesi, che portavano con sé mazzette di soldi in contanti alte dieci centimetri e donne fascinose che aspettano il vincente della sera, i dolci alle mandorle della pasticceria Koe Kei, pagati con una moneta che vale solo per pochi chilometri quadri e si chiama pataca ed una cena italiana al ristorante Palio, la cui storia deve essere raccontata.
Era stata fondato da un italiano, meglio un toscano di Carrara, commerciante di marmo negli anni venti del secolo scorso che fece la sua fortuna portandolo in Cina. La leggenda vuole che lasciò una fidanzata che lo aspettava in Italia per sposare una cinese bellissima, ma aveva il rimpianto e la nostalgia del cibo di casa così da aprire due diversi ristoranti ad Hong Kong ed a Macao, a seconda di dove lo portavano gli affari lui avrebbe sempre trovato la ribollita o i pici.
L’ultima volta che l’ho cercato dieci anni dopo non l’ho più trovato, Aldo, un amico italiano che vive laggiù da un quarto di secolo, mi ha detto che generazione dopo generazione la famiglia dei commercianti di marmo italiani ha mischiato troppo sangue nel Guangdong e gli ultimi tra i nipoti hanno deciso di chiudere l’attività.
Dal primo di luglio questo mondo per me ed altri sarà per sempre precluso, la nuova legge sulla sicurezza nazionale cinese pretende l’arresto di chiunque manifesta critiche al governo di Xi Jinping a casa loro come a casa nostra.
L’arresto potrà avvenire anche in aeroporto su segnalazione, su quanto qualsiasi cittadino del mondo ha espresso in rete; per quanto non possano esistere prigioni tanti grandi e follia tanto manifesta da arrestare anche l’ultimo straniero, che dice male del governo cinese per poi espellerlo in malo modo, manterrò vivo il ricordo di quei giorni, sedendomi sulla riva del fiume in attesa che passi il tempo e la carogna.
4 luglio