“Arbasino sul Mekong è il fiasco di un uomo di talento, Racconto di viaggio per immagini senza capire un bel nulla del sud est asiatico.”
Francesco mi sorride mentre un piccolo libricino dalla copertina arancione passa nelle mie mani.
“Leggilo e poi ne parliamo”, mi dice.
Alberto Arbasino a zonzo sul Mekong è faccenda curiosa più che complicata, Scrive come ha sempre fatto portandoti a spasso con le parole, alla ricerca di soddisfare un pubblico dedicato e fedele. Colto con la voglia di mostrarlo, ricco di mille citazioni, del resto l’Indocina consente ogni volo con quel grande fiume limaccioso come sfondo.
Mekong di Arbasino è scritto nel 1994 in forma di racconto di viaggio e sarà pubblicato a puntate da Repubblica. Quasi un genere contemporaneo al memorabile Danubio di Magris, opera monumentale e coltissima sull’Europa centrale tra cultura, incontri ed una vena di nostalgia dell’Austria Felix, un autentico libro di riferimento di quel decennio.
Mekong è un altro viaggio sull’acqua, Arbasino si affida ai suoi occhi, al suo disincanto ed a André Malraux, ma tutto questo non basta a raccontare i luoghi perché non incontra le persone, semplicemente le osserva.
Tornare a Malraux, chi poi mai ha sopportato Malraux? Nella vita fu tutto ed il suo opposto, ladro di reperti archeologici in Cambogia a vent’anni e ministro della cultura a sessanta, giovane comunista prima ed a fianco di De Gaulle in età matura, sarebbe stato davvero troppo anche per Montanelli, che giustificava il nascere incendiari per morire pompieri. Io proprio non lo sopporto Malraux, ma non sarà così facile liberarsene per chi viaggia in Indocina.
Veniamo ad Arbasino: “Montagne e colline molto accidentate e seghettate, dentellate e verdissime, che emergono a puntine scure e sagome antropomorfe tra laghi di nebbie da pittura cinese. Tutto completamente spopolato, e percorso da fiumi anche troppo sinuosi, che ritornano continuamente su se stessi, come gomitoli pasticciati dal gatto.”
Grande scrittura per immagini, dicevo, ma con un’idea di fondo che annebbia chi scrive. Arbasino uomo del secondo dopoguerra insiste sul tema del disagio della modernità, la città che inurba e tutto macera ed ingoia. Le pagine su Bangkok, la più grande capitale dell’Indocina, sono tra le più nitide. Città fatta di carne e cemento, luogo del consumo e del vizio, di mille luci al neon e di donne agli angoli delle strade. Bangkok perduta ed in vendita ed a fargli aprire le gambe siamo stati noi occidentali. Fosse solo per le donne ed i giovanetti, Arbasino era omosessuale dichiarato, ma la prostituzione è affare universale e la poligamia era ammessa per legge fino agli anni trenta del novecento, facendo della calda ed umida Bangkok una città promiscua prima di ogni occidentale.
Ma Mekong è per Arbasino un’area di guerra, distruzione, morte ed abbandono. La guerra del Vietnam, le stragi dei banditi khmer rossi. I luoghi che non paiono trovare pace e la certezza che il disastro è affare nostro, “A se gli americani invece di buttare qui più bombe che nelle grandi guerre, avessero gettato – risparmiando soldi e vite – casse di magliette con su ” Università of Miami”, berretti da baseball, giubbotti extra small, scarpe uso Timberland, dischi di complessivi e lattine di bibite, qualche stereo e televisione bene imballato, con ricambi batterie … che “Kodak republic” …
L’eterno contrasto campagna città, riconoscendo al primo i valori tradizionali ed al secondo i vizi, la critica al consumismo e al capitalismo, che al 1994 pareva aver conquistato il mondo. Scrivendo del Laos: “Tutto rigorosamente incontaminato poco dopo quei bombardamenti da Apocalypse, a scarsa e paradossale distanza dai colossali inferni tecno-pittoreschi e commercial-folkloristici e irrimediabilmente inquinati di Bangkok …”
L’Occidente canaglia sempre e comunque, mentre i mercanti cinesi fanno quello che facciamo noi da duemila anni e cappi di seta strozzano il futuro di questi paesi oggi come ieri, vasi di coccio vicino al gigante di ferro.
Quando incontro Francesco, l’amico che mi ha donato il libro, gli dico che l’autore della bella di Lodi è arrivato in Indocina troppo vecchio e stanco per farsi domande ed ha nel taccuino già tutte le risposte. Arbasino guarda il mondo con i suoi occhi, lo leggiamo perché è godibile quanto prevedibile. Non si arrabbi Francesco, Arbasino era un uomo del suo tempo e scriveva per un quotidiano che non consentiva troppa libertà di pensiero, ieri come oggi.
Rien ne va plus.
8 maggio