La bella mostra fotografica sulla vita del filosofo irregolare Michele Capozzi alla Galleria Maroncelli 12 a Milano in programma fino al 19 gennaio, ad un anno dalla sua morte, diventa lo spunto per riflettere sullo stato dell’arte in Cina.
Ho conosciuto Michele a Shangai, nel 2006, ad una cena di amici comuni. Ricordo la brillante conversazione di Michele obnubilata dai peperoncini piccanti delle Yunnan protagonisti nei piatti e nell’arredamento del locale di tendenza, ricordo enormi giare trasparenti colmi fino all’orlo.
Mi trovavo a Shangai ad incontrare amici e visitare mostre e gallerie nei giorni dalla Biennale 2006 e capire cosa raccontasse la Cina, lontana dalla censura delle parole e la castrazione del pensiero unico. Erano i giorni dove lo scandalo dei corpi plastinati era ancora ben vivo nella mente di tutti noi. Andiamo con ordine. L’anatomista tedesco Gunther von Hagens aveva perfezionato una tecnica di conservazione dei cadaveri che comporta la sostituzione dei liquidi corporei con polimeri di silicone. L’effetto della plastinazione risultava tanto eclatante da diventare oggetto di curiosità al pari dei tanti musei degli orrori dei primi del novecento. Cadaveri che si mostrano con le gambe aperte, che vanno in bicicletta o a cavallo, che giocano a scacchi, che si mostrano intenti a fare qualcosa che nulla aveva a che fare con la condizione di salma, ricordando un moderno gabinetto espressionista del dottor Caligari. Un successo per i creatori, che ne hanno fatto delle mostre itineranti al pari del Cinque de Soleil.
Poi, si venne a scoprire che sette cadaveri di uomini e donne provenienti dalla Cina erano stati giustiziati e nei loro crani si trovava un foro di proiettile alla nuca. La vicenda aveva portato l’esclusione dei corpi in questione dalle mostre europee con note di biasimo da parte dei curatori.
Che la risulta di un’esecuzione diventasse soggetto da mostrare alla folla è retaggio positivista da laboratorio di un ospedale psichiatrico dell’ottocento. I galleristi cinesi di OV – che a distanza di qualche anno fu chiusa per un certo periodo per mancanza di fedeltà al partito – provavano imbarazzo a parlarne con me e Michele, con il quale aveva condiviso l’esplorazione urbana ed artistica di Shangai.
L’anno successivo abbiamo avuto un successivo scandalo – definito il crimine artistico del decennio – relativo ai ben noti guerrieri di terracotta in mostra al museo etnografico di Amburgo. Dopo alcuni giorni dall’apertura di una mostra al Museo di Etnologia di Amburgo, i curatori tedeschi intuirono che i manufatti erano delle copie. I tedeschi non trovarono di meglio che rimborsare diecimila biglietti venduti tra lo sgomento generale.
Era stato lo stesso gallerista cinese di OV che ci aveva ricordato che nella cultura cinese copiare non è sconveniente o peggio un reato da perseguire. “Se mai esiste qualcosa di bello, di perfetto, perchè non renderlo fruibile a tutti”, ricordando che esiste nel sud della Cina una cittadina chiamata Dafen, dove si contano ottomila lavoratori la cui attività lavorativa è produrre copie di capolavori della pittura, da Duccio fino a Van Gogh. Confini labili tra lecito ed illecito, se il curatore della Guangzhou Academy of Fine Arts è riuscito a sostituire tra il 2004 ed il 2011, ben 143 quadri vendendo gli originali al mercato nero per ricavarne oltre 6 milioni di dollari ed Abigail R. Esman ci ricorda su Forbes che la più grande casa d’asta cinese la Poly Auctions – nota bene di proprietà dell’esercito cinese (!?) – venda falsi nella misura dell’80% del fatturato.
La Cina non solo la copia di Venezia con tanto di gondole, ma sembra un imbroglio senza fine. Un ultimo capitolo – il più sottile – è la mostra su Gengis Khan e la cultura mongola in corso al Musée d’Histoire di Nantes fino al prossimo 5 maggio. Come ha scritto Luana De Micco sul Gionale dell’Arte:
“Il museo, che occupa il Castello dei duchi di Bretagna, allestisce più di 450 oggetti, una parte dei quali, 140, arriva dalle collezioni nazionali della Mongolia e in particolare dal nuovo Chinggis Khaan National Museum che a ottobre 2022 ha aperto le porte a Ulan Bator (e che accoglierà la mostra nell’estate 2024). La rassegna su Gengis Khan e l’impero Mongolo era prevista in un primo tempo a inizio 2021. Nantes la stava organizzando in collaborazione con il Museo della Mongolia interna, a Hohhot, in Cina. Ma, a pochi mesi dall’apertura, l’Ufficio dei Beni culturali di Pechino, che doveva fornire le autorizzazioni per l’uscita delle opere dalla Cina, ha tentato di censurare dei testi della mostra, chiedendo al museo di Nantes di eliminare alcune parole come «mongoli», «impero» e lo stesso nome di Gengis Khan, e di riscrivere la storia del condottiero, proponendo una versione diversa della mostra, in cui veniva praticamente cancellata l’esistenza dell’impero mongolo.
La mostra che si apre ora, dal titolo «Gengis Khan. Come i Mongoli hanno cambiato il mondo», è dunque molto diversa da quella prevista tre anni fa. Nessun oggetto esposto arriva dalla Cina. Inoltre, l’invasione russa in Ucraina ha messo fine alla collaborazione con i musei di San Pietroburgo, che conservano capolavori dell’Orda d’oro, l’impero turco-mongolo fondato dai discendenti di Gengis Khan.
“Alla fine abbiamo compensato bene l’assenza della Cina con un gran numero di tesori nazionali provenienti dalla Mongolia, mai presentati in Occidente, e completati da magnifici pezzi prestati da musei francesi e stranieri, ha spiegato Guillet parlando con la stampa. Il nuovo progetto è anche più ricco perché, se il primo era incentrato sull’impero mongolo e sulla conquista, il secondo presenta una dimensione più ampia, più sociale e più attuale sulle società nomadi, la tolleranza religiosa e il posto occupato dalle donne”.
Ci rimane il dito medio di Ai Weiwei, artista, intellettuale e musicista perseguito dal regime comunista a conclusione di tanta arroganza, ricordando che l’opera L.O.V.E. o il Dito di Maurizio Catellan del 2010, una silente accusa di fronte in Piazza degli affari a Milano, è successiva – per una volta – di oltre dieci anni dal lavoro originale di Ai Weiwei
17 gennaio
Ai Weiwei since 1995
Maurizio Catellan – Il Dito 2010
Corpo plastinato