Mai visto una ghost town? Io ne ricordo una grandissima, quasi infinita a Wenzhou, nello Zhejiang.

Nei primi anni dieci ero di casa in questa regione a sud di Shangai, porto d’imbarco dei cinesi d’Italia

Mike Zhang il mio contatto locale decise di fare una deviazione e portarmi a vedere dove aveva acquistato un appartamento.

Il nuovo complesso immobiliare si trovava a pochi km dal centro, si arrivava attraverso un lungo vialone di alberi appena piantati per trovarsi in un reticolo di edifici alti una ventina di piani dai colori grigi. Percorrendo quella strada non si vedevano persone, forse qualche operaio impegnato nelle ultime opere di urbanizzazione. Era un quartiere squadrato da vie tutte uguali, che si intersecavano ogni tre palazzi e l’intero complesso aveva la dimensione per lato di trenta palazzoni. Dopo qualche incrocio si arrivava al luogo che avrebbe dovuto essere il centro della cittadina, lo spazio un poco più ampio aveva alcuni negozi, un piccolo centro commerciale ed una palestra, che aveva già montato un’insegna luccicante.

Mike mi ha detto che tutto era pronto, che le quindicimila e più persone che sarebbero venute ad abitare questa nuova città entro un anno ed erano parte delle centinaia di milioni di uomini e donne prossime a trasferirsi dalle campagne alle regioni rivierasche, dove l’economia era in crescita e vi erano opportunità per i più intraprendenti.

Mike indicò un edificio e poi contando, mi disse di osservare delle finestre al decimo piano dove aveva acquistato casa.

Mi sorrideva soddisfatto.

Evergrande il secondo maggiore gruppo immobiliare cinese è sull’orlo del fallimento, con debiti pari a 100 miliardi di dollari. La voragine è cresciuta a dismisura in questi anni, perché la società finanziava i propri debiti (!) con l’emissione di obbligazioni a tassi di mercato elevati. La vicenda di Evergrande si innesta nella storia delle centinaia di ghost town che si trovano in Cina, dove si contano 50 milioni di case sfitte o come ha scritto Wade Shepard su Forbes: ” … 450 chilometri quadrati di superficie residenziale invenduta, che è quasi sufficiente per coprire completamente Boston due volte”. Le parole di Shepard sono di cinque anni fa, ma le cose in Cina peggiorano ogni giorno come lo scioglimento dei ghiacci artici.

Nel merito, il settore immobiliare ha rappresentato il motore del pil cinese. Mattone e cemento hanno aiutato la crescita del paese, si pensi alla crescita di Shenzen da trentamila abitanti ad oltre trenta milioni in poco più di quarant’anni, ma fragilità di sistema è intrinseca in una impennata tanto disordinata. Nel merito, abbiamo (forse), una pianificazione di uno sviluppo urbanistico che confonde domanda ed offerta, spinte economiche e demografia.

Il governo cinese ha negli anni incoraggiato l’acquisto di immobili, garantendo l’accesso al credito e tassi favorevoli, fiducioso dell’idea di una crescita senza fine e dalle entrate fiscali delle vendite.

Oggi molti cinesi hanno debiti che non riescono ad onorare ed immobili il cui valore di mercato è inferiore a quello di acquisto, altri continuano ad acquistare nel timore delle turbolenze economiche dovuto al Covid 19 e temono una svalutazione dello Yuan, a noi osservare che oltre il 20% degli immobili di nuova costruzione non è occupato. Alcuni analisti affermano che il mercato immobiliare è solido e la domanda coerente (?), mentre il guru della finanza globalizzato George Soros suggerisce a BlackRock ed ai fondi americani di stare lontano dalla Cina. 

Noi ricordiamo che nel febbraio di quest’anno il gigante immobiliare Fortune è crollato sotto un debito di 815 milioni di dollari e sembra la prima tessera del domino, ma nessuno vuole ricordarlo a settembre sui principali giornali economici (?!).

Per quanto è in noi riteniamo che un colpo al settore è stato arrecato dallo stesso legislatore cinese, che ha imposto agli istituti  di credito statali di limitare il credito al settore immobiliare.

La crisi ricorda la vecchia storia dei passeri di Mao della fine degli anni cinquanta, quando la pianificazione centralizzata ordinò lo sterminio dei passeri che a dire del regime facevano incetta di granaglie. L’eliminazione dei passeri produsse un aumento delle cavallette, di cui si nutrivano i passeri, la carestia e la successiva campagna di uso intensivo pesticidi procurò la morte di decine di milioni di contadini.

Faccenda complessa ed insoluta la pianificazione dell’economia, ieri come oggi, in Cina ancora di più.

11 settembre

 

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