Esiste una posizione nel gioco degli scacchi, nota come Zugzwang, che costringe a chi ha l’obbligo della mossa a perdere la partita.
Avviene nei finali di partite, mai nel mediogioco con l’eccezione di una partita chiamata, non per nulla, l’immortale di Aaron Nimzowitsch.
Il politologo americano Minxin Pei, del Claremont McKenna College, sostiene che i disordini di piazza in Cina sono la prima grande prova del potere personale di Xi Jinping, secondo noi il primo Zugzwang dell’autocrate.
I fatti sono noti. La Cina ha privilegiato una politica severissima per affrontare l’epidemia Sars2 quando il mondo ha deciso di riaprire i confini ed i commerci. Pochi casi in una città cinese rinchiudevano milioni di persone nelle loro case. L’anomalia cinese ha suscitato l’interesse del mondo intero ponendoci alcune domande sulla strategia sanitaria e sulla sorveglianza sociale. Ci siamo chiesti se i numeri delle infezioni fossero veri, quale fosse l’occupazione in area di terapia intensiva degli ospedali. Ci siamo posti domande sull’efficacia dei vaccini di Pechino, perché questi avevano mostrato la propria inadeguatezza alla prova di paesi terzi. Un’ulteriore lettura, che integra le precedenti, vuole che la chiusura della Cina fosse un test sui consumi interni ed una maggiore indipendenza dai mercati esteri.
Infine ci siamo ricordati che i nostri amici che vivevano in Cina sono rientrati da anni, e non vi è nessuno che possa dirci in prima persona cosa succede laggiù.
Molti cinesi sono scesi in piazza senza che noi possiamo conoscere le ragioni del loro malessere. Si racconta che in piazza vi fosse la sofferenza per la gestione della pandemia, dei lockdown e le ricadute economiche, ma altri richiedevano maggiori libertà politiche e trasparenza, in pochi la fine del partito comunista. Una folla fatta di mille idee e poche proposte, interpretata in Occidente dai nostri desideri piuttosto che per quello che sappiamo. Se ci dovessimo interrogare su cosa sappiamo la risposta è non molto, se non una sofferenza diffusa che mina l’implicito contratto sociale cinese, cessione di rappresentativà contro benessere, come ha osservato Vivian Wang in un recente editoriale del New York Times.
Andiamo con ordine.
La leadership di Xi Jinping era uscita rafforzata dall’ultimo congresso. La nomina sine die, il plateale allontanamento del suo predecessore Hu Jintao davanti al mondo intero, fino all’uscita di scena dell’ultimo segretario di Jiang Zemin morto pochi giorni fa e capo della cosiddetta fazione di Shangai, rivale di Xi Jinping.
Poi le piazze cinesi si sono riempite di una folla arrabbiata e per una volta Xi Jinping si è mostrato incerto. La principale omissione della leadership è stata non comprendere la pancia del paese, per mostrarsi sorpreso alle prime manifestazioni e portarlo allo Zugzwang. La prima risposta è stata la repressione nelle strade, senza calcare troppo la mano, poi Xi Jinping ha varcato il Rubicone e si è piegato alla prima richiesta della folla con una virata tanto spettacolare tanto inattesa .
L’editoriale di Wang Xiaioyu sul China Daily, la voce del regime, ha dichiarato che è tempo di cambiare strategia perché la variante Omicron è meno pericolosa delle precedenti e la vita può ritornare alla normalità, ma la relazione tra disordini ed allentamento delle misure è tanto evidente che la scelta di Xi Jinping pare dettata dalla piazza, una sorprendente novità.
Non è tempo di nuove Tienanmen. Xi Jinping deve recuperare la stabilità sociale di un sistema sotto pressione ed il prezzo dell’immagine di un nuovo uomo di fronte ad un carro armato sarebbe troppo alto di fronte al mondo.
Xi Jinping ha fatto la sua mossa a perdere, gli effetti saranno conseguenti ed a venire, li commenteremo, ma l’uomo è parso per la prima volta in difficoltà.
5 dicembre
L’immortale di Aaron Nimzowitsch (nero)