Green revolution? Mi risponde al telefono Amphon un contadino thailandese che conosco da vent’anni. “Ho deciso di tornare alla campagna dopo aver vissuto dieci anni a Bangkok. Mi mancava la terra di mio padre e del padre di mio padre. Non capivo tutto quel correre ed affannarsi tra milioni di persone. La mia vita è la mia rivoluzione.”

Quando racconto a Amphon quanto si è discusso a Cop 26 e i risultati raggiunti si è messo a ridere, mi ha chiesto di inviargli una selezione di articoli sulla conferenza sul clima e dargli un paio di giorni perché è tempo di raccolta del riso ed avrebbe avuto poco tempo per queste cose.

Amphon è un contadino, ma anche promotore del primo consorzio di piccoli produttori di cerali nella città di Chatturat, nella provincia di Chaiyaphum, nella ragione agricola del nord est thailandese dell’ Isaan. Amphon è stato anche professore di scuola superiore, ha una formazione universitaria e più di ogni cosa è anche italiano di parte di madre, cosa che ci consente di capirci meglio. Il padre è stato un campione internazionale di Muay Thai, la tradizionale boxe thailandese una trentina di anni fa. 

Due giorni dopo mi pare un poco arrabbiato. “Tutto questo parlare delle emissioni CO2 dell’agricoltura mi sembra un corto circuito. Per generazioni ci hanno fatto abbandonare le campagne per andare a popolare città sempre più grandi ed inquinanti, prima da voi che da noi in Asia. Ci hanno convinto che il problema fosse la deforestazione e gli allevamenti intensivi, ora affermano che è la cultura del riso a produrre metano e gas, non lo facciamo da sempre”.

In thailandese il verbo mangiare si traduce “kin Khao”, ovvero mangiare riso, come se tutto ha inizio nella coltivazione, raccolta e consumo del cereale.

“Quest’anno il nostro raccolto è stato davvero modesto. Prima una grande siccità che ha messo in pericolo il nostro lavoro e poi un’alluvione come non se ne sono viste da trent’anni, così hanno raccontato i vecchi”. Il prezzo dei combustibili per le macchine agricole sono aumentati, mentre il prezzo del riso è sceso al produttore a 8 bath al kg, meno di 25 centesimo di euro al kg quando l’anno scorso era poco meno del doppio. Non sono un economista, mi dice, ma il prezzo dei trasporti internazionali è esploso e non ci vuole molto a capire quanto sia difficile vendere il nostro Jasmine all’estero e così il bath, la cui valutazione è tanto alta che complica le cose. Mia sorella vive in Italia e mi ricorda che il prezzo del nostro riso è oltre dieci volte quanto ci viene pagato. Non è possibile. I thailandesi soffrono. Non hanno lavoro, non ci sono più i turisti, molte fabbriche hanno chiuso i battenti, anche chi lavorava in città e nel terziario in banca ed assicurazioni ha perduto il proprio lavoro. Poi sono arrivati in città i rappresentanti di società cinesi di Bangkok. Fanno tante domande, hanno dei bei vestiti e macchine giapponesi e valigette piene di bath. Fanno offerte a chi fra noi si trova in difficoltà e non ha neppure il denaro per pagare il raccolto e comprano quanto possono a prezzo di saldo.”

Più che il metano del bacino del Mekong che fermenta e scalda il mondo, più dei voli internazionali di ricchi turisti e uomini d’affari, è il disagio, la miseria e la nuova povertà estrema che ci ricorda la nuova polveriera thailandese.

24 novembre

https://www.fao.org/3/cb3808en/cb3808en.pdf

https://www.independent.co.uk/climate-change/news/rice-farming-climate-change-global-warming-india-nitrous-oxide-methane-a8531401.html

https://www.fao.org/3/ca9692en/online/ca9692en.html

 

 

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