Il prestigioso “The Straits Times” di Singapore, nell’articolo dello scorso maggio “Chinese businessmen murders stir tensions in Zambia” descriveva la situazione esplosiva tra zambiani e gli emigrati cinesi. L’attivista civile Brebner Changala annunciava nuove possibili azioni contro i datori di lavoro cinesi, che “vogliono comportarsi come se fossero i proprietari del Paese e con l’assenza dei sindacati e il ministero del lavoro siamo costretti a difenderci da soli”.
La Cina è il più grande investitore straniero in Zambia, paese senza sbocco sul mare, dove ha costruito aeroporti, strade, scuole e fabbriche. Oggi il paese è indebitato con Pechino ed i cittadini cinesi chiamati dalle imprese sono saliti da meno di 15.000 persone nel 2014 a 80.000 nel 2020, suscitando un forte sentimento anti-cinese perché gli zambiani sono spesso esclusi dalle attività lavorative o sono mal pagati. I cinesi hanno poi cominciato ad occuparsi di attività di tipo tradizionale, dai caffè, ai barbieri al commercio creando ulteriori tensioni e facendo affermare ai politici locali dell’opposizione che si è creato un nuovo apartheid.
Risorse, risorse, risorse, è il mantra della Cina all’alba del terzo millennio, che ha visto la Cina sbarcare in Africa con propositi di espansione della propria area di influenza geopolitica e dei propri affari.
Lo sforzo della Cina è stato garantire investimenti in infrastrutture a paesi in via di sviluppo e sono poi aziende di Pechino che effettueranno i lavori, che saranno pagati dallo stesso governo cinese. Le iniziative inserite nelle attività del Forum di cooperazione Cina-Africa (FOCAC) consentono ai cinesi di sostenere la produzione nazionale, le grandi opere e le esportazioni. L’ordine degli investimenti è nell’ambito di alcune decine di miliardi annui ed al FOCAC del 2018 di Pechino, la Cina ha annunciato un sostegno finanziario per 60 miliardi di dollari. La Cina definisce questa strategia win – win perchè consentirebbe benefici reciproci, anche se recentemente il governo cinese ha mutato la forma della propria presenza in Africa, passando dalla dichiarata non ingerenza nelle questioni interne di altri paesi a nuove iniziative diplomatiche e militari, questa rappresenta la chiave d’interpretazione per comprendere l’apertura della prima base militare cinese a Gibuti nel 2017 sul mare del corno d’Africa.
Afrobarometer, lo stimatissimo think tank indipendente con sede ad Accra nel Ghana, che si occupa di rilevazioni del pubblico africano su questioni economiche, politiche e sociali, ha pubblicato lo scorso settembre un interessante studio su come i cittadini africani percepiscano la presenza cinese nel loro continente. Un primo studio del 2016 aveva rilevato che il 63% dei cittadini intervistati da 36 paesi aveva sentimenti positivi verso l’assistenza della Cina, apprezzabili l’impegno per le infrastrutture, lo sviluppo e i progetti di investimento, perplessità sulla qualità dei prodotti cinesi d’importazione.
Nel 2019/20, Afrobarometer ha pubblicato un secondo rapporto, i dati sono stati raccolti prima della pandemia COVID-19. Le domande del sondaggio hanno riguardato il modo in cui gli africani percepiscono i prestiti cinesi, il rimborso del debito e la dipendenza dell’Africa dalla Cina per il suo sviluppo.
La maggior parte degli africani preferisce ancora gli Stati Uniti (32%) alla Cina (23%) come modello economico, ma l’influenza della Cina è ancora ampiamente considerata positiva per l’Africa anche se vi sono dubbi sull’entità dei prestiti cinesi (58%) ed i piani di rimborso (il 77% è preoccupato), meno della metà (48%) dei cittadini africani è a conoscenza dei prestiti cinesi o dell’assistenza finanziaria al proprio paese.
La percezione della Cina rimane complessivamente positiva, anche se i recenti atti di razzismo della popolazione cinese a africani residenti a Guangzhou e riportati dalla stampa, hanno avuto grande eco nei paesi d’origine, come le notizie sullo sfruttamento di operai neri ad opera di imprenditori cinesi in Congo, Repubblica Centrafricana, Zimbabwe che hanno condotto a violenza, crimini ed omicidi, come abbiamo già riferito per lo Zambia.
23 novembre