È cambiato il vento.
Un anno e mezzo fa abbiamo cominciato a scrivere di Cina nell’urgenza della necessità.
Il Covid era sbarcato in Italia ed il nostro sistema sanitario affrontava un’onda di tsunami senza uguali.
L’Italia riceveva medici cinesi che suggerivano terapie e norme di pubblica sicurezza, alcuni politici italiani ringraziavano per le forniture di mascherine pagate a sovrapprezzo e spedite dalla Cina.
Da allora fino ad oggi, il China Daily o il Global Times di Pechino hanno raccontato di un virus occidentale, forse una chimera di Fort Detrick dei laboratori militari americani, forse un pangolino di Piacenza ibridato da un pipistrello in trasferta del Guandong (scherziamo ma non troppo), capace di cagionare la più grande crisi sanitaria da cento anni a questa parte.
Pochi mesi prima era stato firmato un memorandum d’accordo che garantiva a Pechino clausole favorevoli nel commercio ed investimenti in Italia.
Vi era abbastanza da decidere di cominciare a scriverne.
L’onda di sinofilia aveva raggiunto un punto di massimo. Era necessario testimoniare di come la Cina fosse ed è, il maggior pericolo all’ordine mondiale del XXI secolo.
A distanza di diciotto mesi il vento è cambiato e l’Occidente si è risvegliato.
Le responsabilità e le omissioni di Pechino accertate, come i crimini contro le minoranze religiose ed etniche e chiunque dissente, la svolta autocratica di Hong Kong, l’occupazione di remote isole di fronte alle Filippine per garantirsi riserve di pesca e giacimenti di idrocarburi, il mancato rispetto di marchi e brevetti, che costano milioni di posti di lavoro in Occidente, fino a constatare che la Cina sia il maggior paese inquinatore del mondo.
Le sensibilità ambientali dell’Occidente sono estranee a Pechino, che non rinuncia al carbone e non è disposto a sostenere il costo di uno sviluppo sostenibile, perché l’unico consenso interno che il regime di Xi Jinping insegue è il maggiore consumo di proteine animali, acqua, suolo ed energia di una popolazione immensa.
Il nuovo presidente americano Biden segue le linee tracciate da Trump. Esclude le società colluse con l’esercito cinese e cancella i visti per gli studenti di Pechino, che a migliaia studiano le discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) negli atenei americani , per poi trasferire competenze altrui a casa propria.
L’Europa segue il traino di Washington, ma è riluttante, perché la Germania, il maggior paese dell’unione, ha interessi industriali consolidati con Pechino. L’accordo quadro con la Cina è sospeso ed i poli della logistica nazionali salvi (penso al porto di Trieste).
In Italia, il partito trasversale pro Cina sbanda. I volti della propaganda mantengono la posizione, la vedetta rossa Botteri in Rai e Rampini alla Repubblica, la penna del giornale dei benpensanti in area ZTL, ma il Fatto Quotidiano cerca di smarcarsi dopo una stagione di terrore rosso.
Faccenda lunga e complessa, ma la marea gialla comincia a ritirarsi ed anche gli all you can eat economici delle periferie sono passati di moda. L’operazione simpatia di un imprenditore cinese nell’orbita del partito comunista, che aveva fatto acquistare un’importante squadra di calcio in Italia, si dissolve nella svendita dei migliori giocatori.
Top down – alto basso – tutto si deforma sotto il peso della trasformazione.
Non si acquistano più i telefonini Huawei perché sono esclusi dalla playstore delle app di Google, ed abbiamo chi prende la macchina per non andare ad un bar tabacchi sotto casa gestito da un cinese che vuole chiamarsi Marcello, come Mastroianni, ma che non ha un briciolo della sua simpatia.
La parola crisi per i cinesi significa “pericolo”, ma anche “opportunità” (si veda l’ideogramma), facciamo proprio il concetto composito ed altrui, nella certezza che è cambiato il vento.
9 agosto