Non esiste altro Dio che il partito comunista, il mantra della questione religiosa in Cina è tutta in questa frase.
Il recente accordo segreto tra il Vaticano e la Cina ha suscitato lo sdegno del cardinale Joseph Zen vescovo emerito di Hong Kong.
Troppo anziano per temere delle conseguenze delle sue parole, troppo autorevole per non creare imbarazzo a Roma, Zen nello scorso settembre è andato a Roma nella speranza di incontrare il pontefice e manifestare le proprie perplessità sulla candidatura di vescovo di Hong Kong di un presule vicino a Pechino. La nomina vescovile di monsignor Peter Choi sarebbe “un disastro di cui si pagherebbero le conseguenze per decenni un danno incalcolabile per la Chiesa di Roma”, ha dichiarato l’ottantottenne Zen, che ha atteso un incontro con il papa senza riuscire a parlarci, si dice che avesse altri impegni.
L’anziano prelato avrebbe procurato imbarazzo alla Santa Sede, perché era nelle sue intenzioni chiedere i termini dell’accordo sulle nomine vescovili, “sono un cardinale cinese e non posso sapere che cosa la Santa Sede ha deciso per la Chiesa cinese”.
Se la realpolitik vuole un basso profilo quando si discute con un regime, meno si comprende perchè è tanto silente sulle persecuzioni subite, fatto questo difficilmente giustificabile da Roma se come dichiarato Zen, “Siamo in fondo all’abisso” prevedendo che “la Fede sopravvivrà nelle “catacombe”.
La questione principale rimane la nomina dei vescovi da parte statale, tema questo plausibile in Europa fino all’ottocento, dove il potere religioso su base territoriale era il potere tout court, ma ingiustificabile nella modernità ed in Cina dove la presenza dello stato è dappertutto.
Chi sfugge al regime rischia una fine tragica, come la vicenda del Panchen Lama Gedhun Choekyi, ovvero la seconda autorità religiosa del buddismo tibetano, un bambino di soli sei anni rapito con la sua famiglia nel 1995, quando il Dalai Lama dichiarò il ritrovamento dell’ultima reincarnazione di Budda identificandolo con il piccolo.
Del bambino non si sa più nulla da allora e si dubita che sia ancora vivo, il governo cinese si è sempre rifiutato di rivelare dove si trovi Gedhun non rispondendo alle richieste delle Nazioni Unite e dei governi occidentali.
Pechino lo ha sostituito pochi mesi dopo con un nuovo Panchen Lama bambino di nomina cinese, il quale ha ricevuto un’educazione consona all’ideologia cinese ed esercita la sua autorità lontano dal monastero di Tashilunpo, l’importante sede del buddismo tibetano Gelupa o della sciarpa gialla.
Intervistato da Charlie Campbell per Time Magazine nel 2019 il Dalai Lama ha dichiarato: ““Se muoio, penso da due a tre anni, penso che i cinesi potrebbero scegliere anche un Dalai Lama. Ma i tibetani (non lo accetteranno).”
Pompeo il segretario di stato uscente dell’amministrazione Trump ha posto la questione della libertà religiosa al centro dell’agenda dei diritti umani universali, nello scorso mese di ottobre anche il funzionario statunitense in visita a Roma non è stato ricevuto da papa Bergoglio.
“Leonis catulum ne alas” – Non nutrire i figli del leone (cha fatti grandi ti sbraneranno) – Valerio Massimo
25 dicembre