“È una scelta strategica”, mi dice l’analista politico R.R., “le risorse dell’intelligence e dell’apparato strategico statunitense devono essere ricollocate nell’area pacifica nel prossimo confronto con la Cina”.
Le parole di R.R. divergono da quanto emerge nelle analisi dei maggiori opinionisti.
“L’area medio orientale e la questione dell’Islam salafita ed integralista è destinata a perdere la propria centralità”, afferma, “Il terrorismo ha perso il proprio slancio. Crisi regionali sono all’orizzonte, penso alla virata ultraconservatore in Iran ed in Afghanistan, ma la transizione ecologica riporterà questo quarto di mondo ad essere periferia, perchè i combustibili fossili e le linee dei gasdotti sono destinate a perdere rilevanza strategica.”
Se dovessimo leggere Splenger o Severino i filosofi, fino all’ultimo Quirico il giornalista e mille altri negli ultimi cento anni, dovremmo ritenere azzardata la tesi di R.R. perchè ognuno di loro parla di crisi dell’Occidente, dei suoi valori, nel suo perseguire il proprio progetto di egemonia culturale, che mira ad introdurre rappresentanza e democrazia ed un modello economico di mercato.
Se vi è qualcuno che rimane sorpreso dall’uscita di scena americana sono gli altri grandi paesi dell’area, cinesi e russi per primi, che temono di dovere contenere le spinte esogene di tagiki, turkmeni e iuguri nei propri confini (Mariano Giustino ipse dixit), che trovano in Afghanistan il proprio “brodo di coltura” ed arsenali moderni disponibili ed a buon mercato.
Lo stesso China Daily nel suo editoriale dello scorso 2 settembre “US must learn to live with Taliban”, si mostra preoccupato per il disimpegno americano, affermando che amministrazione talebana e Stati Uniti devono accettarsi e riconoscersi nella propria diversità. Molto si è discusso del ruolo emergente della Cina, perché un principio fisico vuole che ogni vuoto viene riempito, ma pochi ricordano o peggio si scordano di dire, che Pechino è presente in Afghanistan con importanti concessioni minerarie e la sicurezza era garantita dagli americani.
Un vecchio detto pashtun dice che se gli occidentali hanno gli orologi loro il tempo, ed è così che è andata. Sorrido a vedere una delegazione talebana di 10 persone ad un qualsiasi incontro, che corrispondono a 10 tribù. Tra loro poi nessuno si fida di nessuno e tutti osservano sospettosi gli altri, per nominare leader del paese tale Mawlawi Haibatullah Akhundzada, che ha fatto carriera suggerendo al figlio di 23 anni di farsi esplodere in un attentato. Nessuno oserebbe tanto, va da sé che i talebani sono inaffidabili per tutti.
L’Europa pare colta alla sprovvista, quasi fosse poco o per nulla coinvolta dalle decisioni americane, nuovo capitolo nelle relazioni tra alleati. Ci sentiamo o siamo un poco simili ai cani antimina americani, abbandonati all’aeroporto di Kabul (leggiamo in queste ora una piccata smentita), o la classe media degli abitanti di Kabul ed Herat, danni collaterali della storia. Come il Museo Nazionale di Kabul che conservava i reperti della civiltà Gandhara ellenista e buddista, che era sopravvissuto alla prima furia iconoclasta degli studenti coranici ed aveva visto tornare i suoi capolavori da Londra pochi anni fa.
Ora gli americani tornano sul pacifico dove hanno vinto l’ultima grande guerra settant’anni fa, dopo di allora abbiamo avuto la Corea, il Vietnam e l’Afghanistan. Il prossimo capitolo si gioca nel mare della Cina meridionale e Taiwan.
Nel frattempo i noli del container sono alle stelle perchè saliti di otto volte negli ultimi tre anni, per esempio da 1250 dollari ad oltre 10.000 dalla Cina all’Europa. Mercato? Frizioni per gli incidenti di Suez o i container sono depositati in qualche remoto angolo di mondo, porti chiusi in Cina per il Covid? No, mi dice A.Z. spedizioniere e spin doctor (fonte privilegiata), questa è una nuova forma di guerra che sabota le catene della produzione del valore in Asia.
Non sembra un caso che la Cina dichiara che si debbano aumentare i consumi interni e la redistribuzione della richezza, forse teme contraccolpi sull’export anche se non lo dichiarerà mai. Jack Ma, tycon di Ali Baba caduto in disgrazia, capisce che è meglio donare 15 mld al governo di Xi Jinping per un nuovo capitolo del modello cinese di capitalismo di stato, ne avevamo scritto mesi fa.
La stampa nazionale pare sonnolente, intorbidita da troppi luoghi comuni. I pochi buoni analisti sono a busta paga di qualcuno che non conosce i luoghi, gli uomini o in Oriente c’è andato con il libretto di Mao in tasca.
Il decoupling economico inizia nei giorni di Kabul, la forza militare sarà schierata nel mar della Cina meridionale, noi rileggiamo Huntigton ed il suo “scontro di civiltà” e lo suggeriamo a tutti i lettori.
5 settembre