“I cinesi non hanno idea di cosa sia il mondo, semplicemente perché non hanno informazioni e per loro averle è complicato e forse neppure ci pensano o peggio, non gliene importa”, mi dice Felice, che ha avuto un’impresa in Cina per alcuni anni a Shangai, me lo dice davanti ad un caffè al Federale di Lugano, mostrando un sorriso ironico.

 “Spesso pensiamo con le nostre categorie, ma la faccenda è ben diversa, in Cina ogni pubblicazione passa attraverso una censura del partito e dei suoi organi di controllo, rimarrebbe quanto ti viene raccontato dai cinesi dell’oltremare e poi da internet, che laggiù ha un accesso limitato.” 

La Cina si è sempre protetta dal mondo esterno di cui ha sentimenti contraddittori, ma principalmente di viva preoccupazione per quanto gli stranieri possano portare nel paese. La grande muraglia classica è stato un esempio chiaro stabilendo un dentro ed un fuori, appartenenza ed esclusione e così la società cinese che rimane tradizionale a dispetto dei mutamenti politici, impero, repubblica, comunismo e post comunismo mercantile, ha elaborato una nuova difesa chiamata “Golden Shield Project”, un progetto di controllo, censura e sorveglianza che blocca i flussi di dati ed informazioni in entrata provenienti dai paesi stranieri entrato in funzione nel 2006

“La leggenda”, dice Felice, “vuole che Deng Xiaoping guardasse al mondo con preoccupazione, capiva la necessità di aprire la finestra per prendere aria fresca, ma temeva che le mosche potessero entrare, chiamarci in questo modo e davvero divertente”.

Funziona così: un sottosistema del Golden Shield è stato chiamato “il Grande Firewall” (防火 长城) e blocca i contenuti, impedendo l’instradamento degli indirizzi IP attraverso firewall standard e server proxy. Le autorità cinesi non sembra esaminino il contenuto di Internet, sarebbe troppo lavoro anche per loro, quanto operano selettivamente sulle ricerche e comportamento degli utenti attraverso la corruzione di procedure di cache DNS.

Se la massa degli utenti cinesi non riescono ad avere informazioni significative e rilevanti attraverso internet, mi chiedo come può un imprenditore occidentale lavorare a Shangai con una rete mutilata negli accessi, “Nulla di più semplice,” mi dice chiamando il cameriere, “la soluzione è semplice e copre quell’area grigia che è rappresenta l’essere in Cina e lavorarci, conoscere le regole ed infrangerle per quanto il sistema lo consenta e chiuda un occhio, bisogna utilizzare una tecnologia  VPN (abbreviazione di “Virtual Private Network “) ovvero crittografare i dati tra il tuo computer e un altro server per accedere a Internet in modo privato, le VPN sono illegali ma sono state tollerate per anni. Il servizio e’ offerto da vari fornitori e si scarica come una normale applicazione o mobile app, non servono competenze tecniche. Dal 2017, centinaia di fornitori di VPN sono stati chiusi dal governo e in qualche caso sono stati puniti anche gli utenti.

“In questi giorni ascoltiamo le lamentele della Huawei di fronte alle azioni dell’amministrazione americana, che la associa strutturalmente all’esercito cinese, ma Facebook,Twitter, Google, Gmail sono accessibili all’utente cinese solo con il VPN e da questa banalità puoi capire la distorsione della vicenda.”

“Faccenda un poco diversa parlare dell’uso del VPN sui telefoni, opzione questa che risulta sempre più complessa, meglio essere davanti ad un computer per una chiamata Skype, perché le autorità dello Xinjiang nel 2015 hanno deciso di chiudere il servizio di telefonia cellulare di qualsiasi persona, straniera o locale, che utilizzava una VPN, ma sempre dello Xinjiang stiamo parlando, un’area complicata per Cina per l’inquieta maggioranza Iugura.” 

“Questione tecniche”, mi dice Felice pagando il conto, “più complicato in Cina sono altre faccende”. “Cosa?” gli chiedo, “I cinesi non pagano, bisogna essere prudentissimi e mai accettare dilazioni, ricordati questo”. 

Pochi passi e siamo sul lungolago.

21 agosto 20

 

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