Il libro dell’anno per Altri Orienti è Leadership, sei lezioni di strategia globale di Henri Kissinger.

Alla venerabile età di 99 anni Kissinger ci regala un libro imperdibile, lo scrive alla fine di una lunga vita e si congeda con una teoria della leadership politica. Kissinger sceglie sei grandi uomini e donne del novecento che ha conosciuto personalmente: Adenauer, De Gaulle, Nixon, Sadat, Lee e Thatcher. Ne ricorda la storia personale, descrive i problemi che hanno dovuto affrontare, stabilisce un denominatore comune che li accumuna, li considera poco ideologizzati ed attenti a cogliere le opportunità del tempo.

Così nella presentazione del libro pubblicato su Repubblica, “Nel compito di trovare la strada da seguire, la leadership strategica può forse somigliare al funambolo che cammina sulla corda: come l’acrobata rischia di cadere se è troppo timido o troppo audace, così il leader è costretto a procedere all’interno di uno stretto corridoio che lo vede sospeso tra le relative certezze del passato e le ambiguità del futuro. Il castigo per l’ambizione eccessiva, quella che i greci chiamavano hybris, è lo sfinimento, mentre il prezzo da pagare per avere riposato sugli allori sono la progressiva perdita di importanza e il declino finale. Passo passo, i leader devono adattare i mezzi ai fini e gli obiettivi alle circostanze, se vogliono arrivare alla meta.”

Gli statisti di Kissinger pensano e agiscono “tra i valori profondi e le aspirazioni dei popoli che essi governano … dissipando dubbi e guadagnando consenso” in tempi di transizione ed incertezza, quando servono soluzione creative e coraggiose.

Kissinger non si preoccupa di darne un giudizio, cosa questa che ha fatto arrabbiare certa stampa neo puritana, come Andrew Anthony del The Guardian che lo definisce un narratore al pari di George Martin autore del fantasy Trono di Spade e dei suoi mille intrighi e Phillips O’Brien del The Times, che pensa a Kissinger ed agli altri leader come se fossero un club che determina i destini del mondo in una sala riunione – dimenticandosi che Kissinger è uomo della guerra fredda e di questa era il sommo sacerdote. Kissinger racconta il suo novecento, lontano dagli umori del nostro tempo, che confondono la storia con il desiderio che i buoni principi siano immuni da scelte ambigue e dolorose. Kissinger fu vicino a Pinochet, se ne potrebbe parlare per ore ed ha voltato le spalle di fronte a tanti crimini, ma non è affare nostro dare una pagella di moralità a chi è stato segretario di stato di una grande superpotenza . Vi sono delle omissioni quando Kissinger tratta con una certa indulgenza di Nixon ed alla fine sé stesso, quando nega o meglio sorvola, sulle responsabilità di quella amministrazione in Cile, in Cambogia ed in Indonesia e minimizza l’affaire Watergate come un’incidente di percorso determinato da subalterni sciocchi e troppo solerti. Forse Nixon non potrebbe essere incluso nel bouquet selezionato di queste personalità, ma il segretario di stato era l’artefice dell’apertura alla Cina, degli incontri con Mao Zedong e dell’exit strategy vietnamita ed un poco di vanità non si nega ad un uomo tanto anziano.  

La scrittura è elegante, la traduzione nella versione italiana convincente ed i contenuti tanto colti quanto accessibili ad una platea di lettori molto ampia, definendolo un buon libro da regalare agli amici appassionati di politica per le festività.    

Rispettatissimo in Cina ed ascoltato in Russia, per le sue posizioni equilibrate e prudenti, tanto anziano da essere libero di dire ciò che vuole,  Kissinger ha rilanciato il tema della realpolitik ai nostri giorni:

“i paesi che non concordano su regole di condotta globale (ordine democratico e liberale ndr) potranno operare in un progetto comune di equilibrio? L’analisi della coesistenza sarà sopraffatta dalla ricerca della supremazia?”

concludendo che la mancanza di grandi leader sia il tema dei nostri giorni.

Possiamo dargli torto?

2 dicembre

Henri Kissinger, Leadership – Sei lezioni di strategia gobale, Mondadori, 28 euro

 

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