Alzare la bandiera di Taiwan per affermare la diversità e salvare le fabbriche dai manifestanti birmani.
Il governo di Taipei ha suggerito alle proprie aziende di segnalare che le loro proprietà non sono di Pechino.
Negli scorsi giorni i rivoltosi birmani hanno trovato nelle fabbriche di Pechino degli obiettivi semplici e ben identificati. A decine sono state date alle fiamme, perchè i manifestanti vedono nel governo di Pechino il complice dei militari golpisti del Tatmadaw e negli investimenti cinesi una nuova colonizzazione. E’ inevitabile notare come la Cina si è opposta alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul golpe militare del 1 febbraio, considerandolo una sorta di rimpasto di governo in attesa di prossime elezioni.
Negli occhi dei birmani non è passata inosservata la visita del presidente Xi Jinping lo scorso 17 -18 gennaio, a distanza da quasi venti anni da una visita presidenziale cinese in Myanmar. Il presidente cinese e l’omologo birmano hanno firmato 33 corposi accordi che includono infrastrutture come un’importante linea ferroviaria e la zona economica speciale di Kyaukphyu nel Golfo del Bengala, dotato di porto per le grandi navi, capolinea del corridoio economico Cina-Myanmar lungo 1.700 chilometri. Un importante collegamento nell’iniziativa Belt and Road che lo collega alla provincia cinese dello Yunnan.
Gli accordi comprendono oleodotti e gasdotti transfrontalieri, ma che non includono il progetto della diga idroelettrica di Myitsone da 3,6 miliardi di dollari bloccato nel 2011 a seguito di una sollevazione popolare dal primo governo eletto, il vero punto della discordia dei rapporti cino-birmani.
Il progetto della diga di Myitsone risulterebbe essere tra i maggiori del mondo. Dovrebbe essere costruita alla confluenza dei fiumi Mali e N’mai a nord del paese con un impatto sull’ambiente disastroso. Intere comunità dovrebbero essere trasferite per un totale di 150.000 persone, una superficie pari a circa 450 km quadri allegata, il consumo di acqua metterebbe a rischio la fertilità del suolo e l’economia di un’intera regione. L’energia prodotta dalla diga costruita in territorio birmano andrebbe per il 90% alla Cina e solo per il 10% al Myanmar, dove l’energia elettrica non è garantita all’intera popolazione.
Myanmar rimane legato alla Cina in modo indissolubile. I due paesi hanno un confine poroso di oltre duemila km segnato da una storia comune, la presenza di imprese di cinesi in Birmania è favorita da un costo del lavoro inferiore della metà delle province esterne della Cina. Oltre a ciò, esiste da sempre una corposa minoranza cinese di oltre un milione e mezzo di persone che detiene il controllo economico nel paese ed include molti tra gli uomini più ricchi del paese
Il risentimento verso i cinesi qui come altrove – penso alla Malesia, l’Indonesia, le Filippine ed al Vietnam – si mostra in modo carsico ed intermittente. In Birmania nel 1967 una rivolta contro i cinesi provocò la morte di una trentina di persone e viene ancora oggi ricordata come una pietra miliare della storia birmana.
Il nuovo corso birmano dovrebbe portare a breve l’approvazione del progetto della diga di Myitsone perché la Cina non può aspettare e pretende nuova risorse per la sua enorme popolazione dai consumi crescenti – parlare di Chinesischer Lebensraum, ovvero di spazio vitale cinese non è un’astrazione geopolitica e la minaccia riguarda tutti i paesi confinanti.
24 marzo