Il simbolo di Parigi è sotto attacco. Secondo alcuni la Torre Eiffel dovrebbe essere smontata ed il suo ferro fuso e restituito all’Algeria.
Nei giorni del politicamente corretto nei quali si abbattono le statue dei padri fondatori dell’Occidente, la torre pare troppo solida per l’azione di quattro riottosi.
Rimane la pretesa, che ci ricorda come l’eredità di Gustave Eiffel sia davvero universale.
Gustave Eiffel intorno al 1900 aveva un suo ufficio in Vietnam. La sua fama era alle stelle, la famosa torre era stata inaugurata una decina di anni prima, e le commesse nella colonia d’oriente non mancavano.
La società di Gustave Eiffel progettò e costruì ponti, viadotti ed edifici utilizzando la nuova tecnica di parti pre fabbricate che sveltivano e razionalizzavano i processi di costruzione. La Francia costruì nelle colonie dell’Indocina con il fervore di chi desidera l’emancipazione economica della colonia.
Il saldo degli investimenti francesi in Indocina ammontava, nel 1914, al 16% del capitale assorbito dall’impero coloniale; gli investimenti privati corrispondono a 230 milioni, gli investimenti pubblici a 426 milioni. Dei fondi pubblici destinati alle attrezzature, le ferrovie rappresentano 380 milioni, per 1900 km di scartamento ridotto, compresa la linea dello Yunnan.
Le straordinarie linee ferrate, figlie di un tempo in cui la ferrovia come nell’India inglese rappresenta un primo vero momento di unificazione del paese con i suoi ponti ed i viadotti. Ad esempio lo storico ponte Long Bien, chiamato Paul Doumer alla sua inaugurazione, che fu costruito in stile Eiffel dalla società Daydé & Pillé, dal 1898 al 1902. Questo ponte è caratterizzato dalle sue 19 campate basate su 20 travi a sbalzo su una lunghezza di 2.500 m (comprese salita e discesa). È stato il primo ponte in acciaio ad attraversare il fiume Rosso. Ma anche la costruzione di porti moderni utili al commercio come Haiphong, Tourane e Saigon ed i palazzi dell’amministrazione del paese, i teatri, le chiese ed il bellissimo palazzo della posta di Saigon, da tutti considerato opera di Eiffel ma opera di altri ingegneri ed architetti francesi.
L’amministrazione della colonia nel 1913 aveva due architetti principali, dodici architetti ausiliari, trenta ingegneri e cento settantuno ausiliari degli ingegneri, nonché dieci architetti privati.
E’ intorno agli venti del secolo scorso che si realizza l’idea di un dialogo tra l’architettura civile occidentale e lo stile tradizionale vietnamita perché costruire a Lione o Le Havre era ben diverso che a Saigon per differenze climatiche, culturali ed il milieu estetico, così l’architettura francese in Vietnam si plasmò per armonizzarsi con l’ambiente e lo stile di vita locale adottando nuovi linguaggi estetici e funzionali.
Così l’Università dell’Indocina, che è diventata l’Università Nazionale, la Recette générale des finances (ora Ministero degli Affari Esteri) e il museo Louis Finot della Scuola francese dell’Estremo Oriente (ora il Museo Nazionale di Storia Vietnamita).
Nel métissage culturale dei tempi il nome di Eiffel non è mai però stato messo in discussione, come il già citato palazzo della posta proposto ai turisti da oltre un secolo come fosse frutto del suo ingegno.
Occidente e colonialismo, identità porose e nuovi stilemi, attraversando il paese ci si accorge ancora del lascito francese all’’ex colonia. La prima fase della decolonizzazione del mondo – in Indocina come altrove – portò alla luce i gravi torti dell’Occidente, oggi attraversiamo una nuova e più sottile follia che discute i meriti e non già le colpe dei nostri padri.
20 marzo