Estate. Non avendo obbligo di firma ho preferito il leggere allo scrivere. 

Ammettiamolo, i sinistri tabloid di Pechino sono quanto di più interessante si possa affrontare tra luglio ed agosto all’ombre delle fronde d’acacia del mediterraneo. 

Scopriamo che la crisi di Evergrande, il colosso immobiliare cinese che vale più di due punti di PIL di Pechino, interessa più a noi che a loro, così pare. I cinesi ammettono le difficoltà di un piano di investimenti immobiliari ambizioso e senza fine, ma promettono interventi dal governo a sistemare le trèbuchement. La notizia della presentazione presso i tribunali americani di un’istanza di fallimento, viene vista come una difesa strumentale, volta ad evitare ulteriori guai o azioni di creditori esteri verso il gigante insolvente.

Piccola notizia in Cina, grande preoccupazione dalle nostre parti, dove si pensa che una Cina prospera ed in salute dovrebbe farci felici ed ancora si teme il battito di una farfalla di Shangai capace di apocalittiche sciagure a New York. Forse le cose sono proprio così, ma la crisi di Evergrande e del settore era ampliamente prevista e forse già scontata dai mercati.

La Cina cresce poco, ha tanti disoccupati tra i giovani e le pensioni dei veterani sono la prima voce di spesa dell’esercito (che fortuna!) e piange della perdita dei propri risparmi in mattoni è l’opportunità per svegliarci dal torpore, ricostruire siepi e steccati per ricordarci dove siamo noi e dove loro, cos’è affar nostro e cosa è loro.

Non sarà doppiare Capo Horn con un guscio a vela di dodici metri, ma sarà faticoso quanto necessario cambiare rotta in questi turbolenti anni venti. La linea rossa rimane sempre la stessa, rompere dipendenze tossiche da paesi poco rispettosi delle regole del fair trade e ricostruire più salde catene della produzione del valore.

Poco spazio per la bolla immobiliare e qualche editoriale sulla piccola pavida Italia governata da Giorgia Meloni.

Pechino sperava davvero che l’Italia aderisse alla Silk and Road initiative? La firma di Giuseppe Conte valeva quanto il prezzo della carta vergata da un oscuro avvocato di Foggia, unto dal fato a primo ministro, ma forse i cinesi speravano di avere un certo margine di manovra con l’elezione a primo ministro di Giorgia Meloni. La premier era guardata con sospetto a Bruxelles e con viva preoccupazione a Washington. Joe Biden affermava lo scorso settembre. “You just saw what’s happened in Italy in that election. You’re seeing what’s happening around the world. And the reason I bother to say that is we can’t be sanguine about what’s happening here either,” “Hai appena visto cosa è successo in Italia in quelle elezioni. Stai vedendo cosa sta succedendo in tutto il mondo. E il motivo per cui mi preoccupo di dirlo è che non possiamo essere ottimisti nemmeno su ciò che sta accadendo qui “. 

Che ci abbiano creduto o meno, i tabloid di Pechino hanno fiutato che il più povero delle medie potenze europee ovvero il più ricco dei paesi poveri del mediterraneo, li trascurerà ed il matrimonio d’interesse sarà rinviato sine die. Un editoriale del China Daily, “Italy should make decision about Belt and Road out of its best interests”, ha la firma di Antonio Geraci, già sottosegretario del governo Conte e promotore dell’iniziativa in quei giorni giacobini ed un poco folli, che sta alla Cina come l’inarrivabile Orsini alla Russia, quanto dichiara che la democrazia non si determina con il voto dei cittadini, ascoltare per credere, ma riempendogli la pancia. 

Washington richiama all’Ordine Occidentale, Giorgia risponde presente e se qualcuno avesse dei dubbi si guardi al Sud Africa, minacciato di essere escluso dai mercati che contano per troppa prossimità a Cina e Russia. 

Basta così per oggi, passo e chiudo. 

22 agosto

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