Sul disastrato stato delle finanze pubbliche abbiamo ampia letteratura e attenta copertura della cronaca. La botta della pandemia con l’affermazione della scienza clinica sul mercato, l’espressione è del filosofo Dino Baldi, ha prodotto lo schianto della decrescita infelice, ma le magagne erano alla porta. La situazione descritta non è solo buona per il nostro tempo e per il nostro malandato paese, ma ha precedenti nella storia, come le epidemie del resto anche se quelle del passato sterminavano davvero la popolazione.
Se consideriamo in libertà lo stato delle cose, possiamo ritenere che il nostro paese è governato da sprechi e modesta amministrazione che mortifica il libero spirito economico, da una giustizia lenta e complicata, da ampie aree di privilegio e da tassazione incoerente, feroce per alcuni ed irrilevante per altri.
La Francia di Luigi XIII agli inizi del seicento attraversava i nostri problemi attuali. Un élite aristocratica governava l’inefficienza fiscale ed amministrativa, viveva di una rendita antica e moderna, si pensi al nuovo mondo, non aveva nessuna intenzione di cedere i propri privilegi. Alla morte del cardinale Richieliu, l’incarico di primo ministro fu affidato al cardinale italiano Giulio Mazzarino, un prescelto, ma anche un alieno.
La sua razionalizzazione delle finanze francesi rappresenta il passaggio tra un ordine antico ad uno moderno. Il processo risultò complesso e fu costellato da rivolte parlamentari e per le strade, ma una volta concluso permise alla Francia di modernizzare il paese, le nascenti industrie, i suoi commerci e le sue finanze. La condizione unica fu la presenza di Mazzarino coadiuvato dal ministro Colbert, il corpo esterno e poco colluso con l’ancien régime tardo rinascimentale, che non avesse vincoli d’interesse personale o ricatti a cui sottostare, ma la sola Francia a cui rendere conto.
Con il paese a pochi passi dal baratro, si legga il drammatico articolo del 24 maggio del Washington Post, “Why Italian debt matters for everybody” di Robert J. Samuelson, una soluzione più ampia e condivisa sarebbe la sola opzione.
Spazzate le pulsioni nazionaliste in novanta giorni di crisi sanitaria – Alberto Bagni sine imperium imago mortis (Alberto Bagnai senza la forza ha la morte in faccia) – si scopre necessaria una linea di difesa più alta, fino alla faglia della nostra civiltà occidentale ed i suoi valori, prima che Unni tornino a Roma e facciano del bel paese uno Spring roll cantonese. Un Europa più coesa è utile a sé stessa ed a noi, meno pigra e più vicina ai temi di Rossi e Spinelli. Maggiore integrazione e capacità di snellire le nostre leggi, la giustizia e le gabelle, tagliare rendite di posizione e privilegi, favorire la libera impresa e tassare i nuovi latifondisti della rete. Oltre a tutto questo, in quell’esatto momento non vorrei un italiano, ma un francese, un tedesco o un qualsiasi barbaro del nord utile a trovare la soluzione.
Ps Secoli dopo il cardinal Wojtyla, due volte straniero perché slavo, diede impulso al più antico stato mondo, che se ne abbia memoria.