“Che Stati Uniti e Cina possano fare a meno uno dell’altro è una domanda sciocca, ma i tempi sono davvero mutati”. Così Silvia (Nome di cortesia) ricercatrice  virologa con un trolley sempre pronto tra l’Italia, la Germania e gli Stati Uniti tra laboratori, università e congressi, che trova un paio d’ore di tempo da dedicarmi al aeroporto di Malpensa.

“Rispetta il mio anonimato”, mi dice, “non dire nulla che possa far capire chi sono, alcune persone coinvolte sono colleghi con i quali ho lavorato insieme. Le cose che ti dirò sono note, o meglio sono a disposizione di chi vuole conoscerle.” Ha ragione perchè oggi si preferisce raccontare decoupling, guerra per la componentistica delle macchine elettriche e silicio, dazi, dumping e Taiwan, meno della ricerca in ambito farmaceutico così importante in questi anni.

“Vi erano tantissimi progetti di ricerca comune tra americani e cinesi ed ora, dopo Wuhan ed il Covid, si preferisce lasciarli abortire e non parlarne.” Rassicuro Silvia, la nostra pagina è letta dai soliti venticinque amici di manzoniana memoria, non ha l’ambizione di cercare lettori o sponsor, rimaniamo un foglio ad uso dei pochi e dei nostri. Gli ricordo solo che cercherò in rete quanto mi dice e se troverò un riscontro attendibile lo pubblicherò.

Silvia comincia a parlare:

“Mi ero accorta che le cose erano cambiate, poi ho letto un articolo a base quantitativa firmato da Margaret E. Roberts, professoressa di scienze politiche dell’Università La Jolla di San Diego insieme ad alcuni colleghi cinesi, che ha mostrato come le tensioni geo politiche hanno ridotto le collaborazioni sino americane per migliaia di progetti”. La sfiducia delle istituzioni scientifiche americane ha provocato la chiusura di un gran numero di lavori condivisi. Molti scienziati cinesi hanno abbandonato gli Stati Uniti e sono ritornati in Cina.  Prevedo che non ci saranno cambiamenti nei prossimi anni di amministrazione Trump”. “Inevitabile”, aggiunge, “dopo la stagione delle omissioni, per non dire delle menzogne relative alla pandemia di Wuhan”. Non siamo più nella stagione scandalosa di Peter Daszak che collaborava con la dottoressa Shi Zhengli nei laboratori di Wuhan con i soldi del governo americano tramite EcoHealth Alliance, per poi diventare membro del gruppo di lavoro dell’indagine dell’Oms ed essere escluso da ogni istituzione scientifica statunitense che conta, oggi le cose paiono diverse.

Silvia mi racconta di un articolo sulla genesi della pandemia di Wuhan che circola da un paio di mesi in ambito scientifico e che ha pure avuto una certa visibilità sulla stampa generalista.

“Si tratta di “Genetic tracing of market wildlife and viruses at the epicenter of the COVID-19 pandemic” redatto e firmato da una ventina di scienziati occidentali che sostiene siano un team China.

“L’articolo, mi dice, è ben redatto, poi scopriamo elementi sorprendenti, come il censimento esatto della popolazione di animali rari ed esotici del wet market di Wuhan, la descrizione dei singoli banchi di vendita ad un data certa ed in prossimità dell’insorgere della pandemia. Mi pare difficile ricostruire con esattezza cosa accadesse in quella follia etno-gastronomica cinese, così mi sono interessato a considerare la credibilità degli autori dell’articolo e scoprire se hanno legami “sottili” con la Cina, in prima persona o le istituzioni per le quali lavorano. Si ammetta per piacere retorico che i dati delle bancarelle siano veri, se lo fossero, potrebbero emergere solo da chi ha rapporti organici con il partito comunista cinese e le autorità municipali di Wuhan.”

Gli stessi autori avevano firmato “The Huanan Seafood Wholesale Market in Wuhan was the early epicenter of the COVID-19 pandemicin cui si descriveva l’impatto del virus intorno al mercato con modelli analoghi e meno sull’organizzazione delle bancarelle. L’articolo era stato pubblicato su Science nel luglio del 2022.

“Sapere di più nel 2024 di quanto era noto nel 2022 è anomalo, perchè in qualsiasi indagine i tempi sono essenziali. Parlo della gestione della scena dell’incidente per preservarne l’integrità, impedirne l’accesso a persone non autorizzate e poi raccogliere fotografie, video e descrizioni delle prove visibili e raccogliere tracce biologiche. Il tempo è oggettivamente il maggior ostacolo perchè le tracce degradano rapidamente. Infine i testimoni oculari possono dimenticare dettagli cruciali o essere influenzati da fattori esterni. Per quanto la Cina si caratterizzi per sistemi di sorveglianza avanzatissimi, dubito che il tracciamento digitale con telecamere di sorveglianza, registri telefonici e geolocalizzazione con software investigativi complessi possano incrociare i dati e spiegare ogni cosa.

Dei 18 autori del primo articolo 16 firmano il secondo e precisamente: Levy, Pekar, Goldstein , Rasmussen, Worebey, Wertheim, Lemey, Robertson, Garry, Holmes, Rambaut, Koopmans, Suchard, Andersen ne mancano due a questo team China, la prima era una studentessa nelle grazie di Worobey ed il secondo Chris Newman di Oxford che ha legami strettissimi con la Cina, non ha voluto proseguire oltre.

“Il secondo articolo vale il primo e viceversa, l’intento è il medesimo, sostenere la causa della zoonosi accidentale.”

“La prima scienziata cofirmataria dell’articolo di cui ti voglio parlare è Angela Rasmussen, che è una figura singolare della storia del covid, ricordo che pure tu l’hai citata perché fece un’affermazione tanto folle da dubitare del suo equilibro psichico”.

Silvia apre il suo laptop e ricerca sul sito il nostro articolo “Sinossi di una pandemia – parte quarta – Leonis catalum ne alas” ovvero non nutrire i figli che ti sbraneranno, scritto nel  marzo del 2021  per poi leggermene uno stralcio: “Angela Rasmussen, PhD, una ricercatrice associata al Center for Infection and Immunity at Columbia University in New York City ritiene che la prova dell’origine naturale è data da una minore efficienza patogena di quella che si sarebbe potuto ottenere, “il dominio di legame del recettore della proteina spike in SARS-CoV-2, il virus che causa COVID -19, è subottimale, “il che significa che qualcuno che progetta una sequenza di dominio di legame del recettore ottimale probabilmente non” progetterebbe “la sequenza che si è evoluta in SARS-CoV-2”.  Tema questa che spaventa l’intelligenza di chi legge, perché sotto intende che tra gli scienziati sia lecita una competizione volta alla creazione del migliore agente infettivo e l’attitudine a ricerche pericolose.  

Silvia è convincente: “privilegiare, l’ipotesi della ricerca del maggior patogeno virale quale ratio degli esperimenti di “gain of function” è terrificante ed incomprensibile. La riflessione presumerebbe il dolo e la creazione di un’arma virologica e non già di una colpa o accidente, che rimane l’ipotesi più probabile, fatto terribile, ma moralmente accettabile. Ricordiamo che la stessa Cina ha pagato un prezzo altissimo in termini di morte e terrore”.

Oggi la Rasmussen lavora presso l’università canadese di Saskatchewan di Saskatoon, al pari di altri due firmatari dell’articolo Reema Singh e Matthew B. Rogers, che è sede dei finanziamenti dell’Istituto Confucio, un elemento che non rappresenta un elemento di colpa, ma è altresì vero che queste scuole di cultura e lingua cinese sono visti con sospetto dalle autorità dei singoli paesi e che vengono considerati dei cavalli di troia nei nostri istituti di formazione.

Tra gli autori abbiamo la crema della Jolla Institute for Immunology (5 autori) che ha firmato l’articolo, nota bene la stessa la Jolla della dottoressa Roberts, che racconta la crisi della collaborazione scientifica tra Usa e Cina. Il team China ci fa porre l’attenzione sull’area di La Jolla e sugli istituti universitari e di ricerca che si occupano di patogeni virali. Abbiamo La Jolla Institute for Immunology (LJI), un importante istituto di ricerca biomedica che si concentra su aree quali immunologia, cancro e malattie infettive, la UC di San Diego, ma anche con Scripps Research, che ha collegamenti con aziende come la cinese WuXi AppTec, il cui fondatore e Ceo è Ge Li, è uno tra gli uomini più ricchi del mondo, figura di spicco nel settore biofarmaceutico globale. WuXi AppTec, leader mondiale nei servizi farmaceutici e biotecnologici, che ha forti legami con Scripps Research ed il suo fondatore, Ge Li  siede nel consiglio di Scripps Research. Per magia nel team China abbiamo la firma di Kristian G. Andersen del Department of Immunology and Microbiology, The Scripps Research Institute di La Jolla, San Diego.”

Telefono a Silvia una settimana dopo il nostro incontro condividendo alcune informazioni su Ge Li e di come l’Università della Rasmussen ostinatamente non rinuncia all’Istituto Confucio ed ai suoi fondi quando il mondo intero non vede l’ora di sbarazzarsene, ma non trovo elementi che portano La Jolla Institute for Immunology (LJI) a finanziamenti cinesi.

Non abbiamo neppure prove dirette che Ge Li ricopra oggi una posizione ufficiale all’interno del Partito Comunista Cinese (PCC), ma è comune per i CEO di alto profilo in Cina devono cooperare con il governo. Il successo di impresa è in “armonia” con gli obiettivi statali e aziende come WuXi AppTec possono lavorare all’interno dei quadri normativi e politici stabiliti dal governo e WuXi AppTec, sotto la guida di Ge Li, ha beneficiato delle politiche industriali della Cina che supportano l’innovazione biotecnologica.

Tante parole, tante ipotesi, e poi incontriamo la certezza delle autorità statunitensi che hanno deciso di tagliare alle radici la collaborazione con la ricerca ed il settore farmaceutico cinese.  Sanno cose che non sappiamo e forse non ci diranno mai perchè le responsabilità di Daszak sono anche le loro. WuXi App tec ha perso il circa la metà della sua capitalizzazione nell’ultimo anno ad Hong Kong ed il 40% nela borsa degli Stati Uniti mentre nel settembre del 2024 è stata emanata il “Biosecure act”, che limita le aziende associate ad un “foreign adversary” con un voto comune di democratici e repubblicani pari ad oltre due terzi del Congresso 306 a 81.

“La responsabilità dei cinesi non importa che sia accertata da una corte o da gruppo di scienziati, vale più di ogni altra cosa l’esclusione dalla ricerca e dall’industria farmaceutica”. “Forse dobbiamo porci altre domande”, mi dice Silvia, “forse cercare di comprendere le cose in una prospettiva da fine del mondo, almeno per come lo abbiamo conosciuto”. 

21 novembre

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