“Je suis sûr que tant qu’ils seront rééduqués, le public taïwanais redeviendra patriote”

Ma andiamo con ordine, le ultime settimane sono state segnate dalla visita di mezzo mondo libero al sovrano Xi Jinping alla corte di Pechino. Sanchez, Macron, Von der Laeyen ed infine il neoeletto carioca Lula da Silva tutti in attesa di una parola dell’illuminato per la soluzione dei conflitti militari di Ucraina e per comprendere come vorrebbe essere il mondo multipolare di Xi Jinping. L’imperatore naturalmente non ha detto nulla, sempre che qualcuno speri di ascoltare qualcosa di inedito ed interessante, perché non ha nulla da dire mentre il proprio ministro della difesa Li Shangfu ha fatto visita a Mosca all’omologo russo Shoigu e con loro il capo dell’agenzia spaziale Borisov ed il responsabile delle collaborazioni militari Shugaev.

Tutti insieme hanno parlato di cooperazione e nuovi missili da essere pronti all’uso, confortante quanto rivedere “Stranamore” di Kubrick ed ascoltare Peskov, il portavoce di Vladimir il terribile, affermare che il tema nucleare è propaganda occidentale.

Craig Hill decano dei fatti di Cina dal China News ci ricorda che Pechino ha pretese territoriali nei confronti di 23 paesi confinando con 14 e considera proprie le isole Hawaii e lontane valli dell’Hindukush. Gli appetiti di Pechino vanno oltre Taiwan e il soft power di un mondo che adotta lo yuan. L’editorialista Zhang Monan del China Daily osserva soddisfatta, beata gioventù, che le riserve in dollaro in Israele sono scese dal 66,5% al 61% del totale, mentre il Brasile vede aumentare le riserve di yuan da 1,21% al 4,99%, ma non sarebbe una cattiva idea chiedere alle signorine nelle hall degli alberghi a cinque stelle di Shangai, quale valuta preferiscono fra dollaro statunitense e yuan cinese.

Se il sovrano si lagna anche Il vassallo russo ha pari aspirazioni e sogna di tornare alle porte di Trieste e Berlino.

Come sorprendersi se Lu Shaye dichiari irrilevanti l’indipendenza degli Stati ex sovietici e le lancette del tempo dovrebbero ritornare indietro di oltre trent’anni. L’ambasciatore ha così fatto arrabbiare tutti, i baltici e l’Europa a cui questi paesi sono membri della comunità,  ma anche la Francia dove Lu Shaye vive e lavora e gli ucraini, che sarebbero una periferia di Mosca e come tali illegittimi e ribelli. La telefonata tra l’imperatore Xi Jinping e il presidente ucraino delle ultime ore è un successivo capitolo del buddy movie della coppia sino-russa, uno fa il buono e l’altro il cattivo, uno parla di trattative e l’altro lancia le bombe. Il perenne schema della diplomazia ibrida e duale e per questo grossolana, Lu Shaye dice una cosa e Xi Jinping non dice nulla.

Non siamo alla guerra ma alla volontà di creare un nuovo ordine mondiale fatto da antichi confini, il Rubicone è stato attraversato, ma non si deve dire.

Le conseguenze al netto della guerra Ucraina saranno per il nostro Occidente impegnative.

Aumenterà la quota del nostro gdp nelle spese militari ben oltre il 2%. Verranno ridotte quote di welfare tra istruzione, sanità e previdenza e l’industria bellica produrrà nuova tecnologia con positive ricadute sull’impiego ed in ambito civile. La riservatezza del settore difesa imporrà una maggiore attenzione, mettendoci al riparo dai furti di proprietà intellettuale da parte dei cinesi, che non saranno più considerati partners ma corsari, facendo felici il duo Forchielli e Scacciavillani predicatori pop e novelli Savonarola del mondo Occidentale.

Scritto questo, del mondo in armi, non sono per nulla contento.

29 aprile

I confini dell’Occidente liberale e democratico alle porte di Trieste

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