Dobbiamo fidarci dei dati ufficiali del governo di Pechino? Possiamo credere alla stampa cinese?
Nei giorni scorsi il governo di Pechino ha pubblicato i dati dell’andamento economico 2020 della propria economia, secondo i quali la Cina avrebbe assorbito la crisi Covid Sars 2 per attestarsi nel terzo trimestre ad una crescita del 4,9%, in netta risalita rispetto al crollo dei primi tre mesi dell’anno -6,8%, che porterebbe la crescita interna a fine anno ad un + 1,9%.
La stampa italiana e mondiale hanno rilanciato la notizia senza porsi la sola domanda utile, è vero?
I dubbi sono stati sollevati da China Beige Book International, l’importante agenzia indipendente, che raccoglie la banca dati integrata dell’economia cinese in ogni ordine di settore lavorativo.
Secondo Derek Scissors, capo economista del China Beige Book di New York, i dati riportati dal governo cinesi sono irreali, gli investimenti fissi sono in realtà calati come le vendite al dettaglio ed i consumi, nel terzo trimestre il Pil cinese è più vicino a un -5% che a un +5% di crescita.
In particolare l’incremento del Pil è dovuto all’aumento della spesa pubblica, la produzione industriale ed il settore immobiliare cinese, che ha registrato un’elevata spesa per le infrastrutture nel secondo trimestre con l’obiettivo di aumentare ulteriormente l’inflazione e tentare di stimolare la crescita economica.
Asianews.it del Pontificio Istituto Missioni Estere, riporta i dati dell’Ufficio nazionale di statistica cinese, che mostrano la riduzione dei profitti delle società del 2,4% rispetto allo stesso periodo del 2019, le imprese di Stato hanno poi avuto le perdite maggiori (-14,3%) di quelle private (-0,5%) come il mercato del lavoro ha un forte rallentamento, come riportato dai dati dell’agenzia di selezione del personale online Zhaopin, che mostrano come la richiesta di giovani laureati è scesa del 5% e l’offerta diminuita del 20%, il cui dato incrociato con il numero dei nuovi laureati potrebbe portare il dato di nuovi 5 milioni di disoccupati in quella fascia d’età e d’istruzione.
Lo stesso South China Morning Post, nell’articolo di Finbarr Bermingham dello scorso 24 settembre dal titolo, “China’s economy undergoing ‘two very different recoveries’, study that counters official data says” riporta le tesi di China Beige Book, dove si afferma che vi sono due Cine differenti, la prima è formata dall’élite corporativa delle imprese delle regioni della costa, ovvero Shanghai, Pechino e Guangdong che hanno beneficiato di una ripresa e sono il biglietto da visita del governo centrale e le imprese delle periferie in Tibet, Gansu, Qinghai e Xinjiang, la cui produzione è stata di 30 punti peggiore nel terzo trimestre del 2020 rispetto ai secondi tre mesi dell’anno.
La domanda che ci dobbiamo porre rimane sempre la stessa, perché dobbiamo credere o far finte di credere a tutto quanto ci viene riferito da un regime tanto opaco, dove non esiste la libertà di stampa e trasparenza dell’informazione? Perché privilegiare le presunte opportunità ai Principi ed alla verità? Perchè privilegiare questa via sciocca e disperata?
La soluzione di recuperare i dati delle diverse agenzie, correlarli e far emergere l’amara verità è faccenda di pochi, per impegno ed investimenti ed in questo dobbiamo ringraziare China Beige Book e Asianews.it, perché il “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” ovvero “Al diavül al fa il pignatt ma al fa mia i cüerc”, riportato in piacentino dal filologo Giacomo Ghisolfi, perché lì sarebbe iniziata la pandemia Covid Sars 2, come riporta il Jiefang Daily, il foglio ufficiale del Comitato del Pcc a Shanghai.
Ricordiamolo ancora una volta a costo di essere noiosi, la Cina è al 177 su 180 paesi al mondo nell’annuale classifica sulla libertà di stampa ed una cinquantina di giornalisti indipendenti sono in prigione.
6 novembre