Come sia arrivato dalle nostre parti non è un mistero. Il primo ad introdurre il chouchun (Chinese: 臭椿), ailanto, o Albero del paradiso (detto così per la sua capacità a crescere tanto rapidamente) dalle nostre parti è stato il monaco gesuita Pierre Nicolas d’Incarville nel 1751. L’ailanto divenne subito apprezzatissimo dalla nobiltà inglese che lo fece piantumare nei propri giardini patrizi. L’albero dai mille nomi aveva caratteristiche uniche, cresceva di oltre un metro e mezzo all’anno, aveva una bella chioma e fiori esotici. Si mostrava capace di attecchire senza difficoltà in ogni sorta di suolo e senza nessuna cura in particolare. A pensarci bene, il nostro albero parrebbe che abbia vissuto i suoi primi anni come un invitato alle corte dei nobili d’Europa. 

Il chouchun si affacciò in Italia qualche anno più tardi. 

Intorno al 1850 l’industria serica nazionale era stata colpita dalla pebrina, una malattia che aveva reso i bachi da seta improduttivi, portando il settore prossimo al tracollo. La soluzione parve essere l’introduzione della Samia Cynthia un lepidottero di grandi dimensioni, la cui apertura alare può raggiungere i 17 centimetri e che si nutre delle foglie dell’ailanto, capace di produrre una seta di qualità più robusta di quella del Bombix Mori o baco da seta. L’ailanto cresceva tanto rapidamente da poter affrontare gli anni della pebrina, ma il filato si mostrò di qualità inferiore alle attese. Quando Pasteur intorno alla metà degli anni 60 scoprì la cura per la pebrina la scelta più ovvia fu ricominciare dai gelsi e dai bombix mori.

L’ailanto cinese però si affermerà sul territorio e la sua presenza diventerà negli anni infestante. 

Introdotto in Europa ad abbellire i parchi delle ville dei nobili con le sue belle fronde, si scopre foriero di mille problemi. L’ailanto come specie aliena in Europa non ha nemici naturali o parassiti che ne rallentino la diffusione. Non è preda di animali che se ne cibano per il sapore sgradevole delle proprie foglie, fino a farle divenire tossiche per parecchie specie e non si conoscono insetti fitofagi che se ne cibano. E’ forse il tempo di ricordare che il nome cinese della pianta “chouchun”, vuol dire “pianta che puzza”. L’albero produce infine una specifica sostanza alcaloide denominata ailantina, tossica all’ambiente, che rende le aeree limitrofe alla pianta povere di principi nutritivi.

La vicenda dell’ospite cinese, che ha messo radici, potrebbe essere buona per tutte le stagioni ed ammonirci che quanto arriva da lontano deve essere trattato con prudenza, perché non divenga pericoloso per la nostra vita. 

Mi perdonerete se mi viene naturale pensare ad un elegante cappio di seta, come la dipendenza italica alle reti 5 g di Pechino con tanto di backdoor d’accesso a dati sensibili, un moderno alianto senza l’ingenuità dei tempi di un missionario gesuita.

Il sito del ministero della transizione ecologica dedica una bella scheda all’ailanto e così i nostri amici del Canton Ticino.

https://www.specieinvasive.it/specie-di-rilevanza-unionale/specie-di-rilevanza-unionale-2/12-ias-ita/106-ailanthus-altissima

https://www.waldwissen.net/it/economia-forestale/gestione-dei-danni/specie-invasive/lailanto-nei-boschi-svizzeri-ecologia-e-opzioni-gestionali

23 marzo

Samia Cynthia

Bombix Mori

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