I giorni del segretario di stato statunitense Blinken a Pechino alla corte dell’imperatore a ribadire che i legami per quanto logori non si spezzano mai.
Poco importa dei giochi guerreschi fatti di missili russi con microchips cinesi, palloni spia sul Montana, aerei e cannoniere di bandiera avversa che si sfiorano nello stretto di Formosa, poco importa se a distanza di poche ore il presidente statunitense Biden definisce l’omologo cinese Xi Jinping un dittatore, ricorda la storia di un corvo che urla ad un merlo “quanto sei nero!”, lo sappiamo che parla ai suoi e non agli altri.
Dichiarata unità d’intenti a voce sola, Pacem in terris come fossero papa Giovanni XXIII, ma come andrà a finire lo dirà la storia. Uguali e diversi, a pensare al mondo, chi a volerlo a guida atlantica l’altro a trazione cinese, ma mi raccomando, chiamandolo multipolare. Uguali e diversi, la formazione di questi uomini al potere risulta molto simile. Solidi studi nelle migliori università nazionali, esperienze nella pubblica amministrazione, servitori dello stato e cresciuti nello stato. Le élite globali della politica utilizzano poi gli stessi strumenti per la nuvola del proprio consenso e si trovano curiose simmetrie. Così la polifonica dei tabloid dei grandi della terra si muove all’unisono a raccontare la vita e la morte di Silvio Berlusconi, un piccolo, grande, irregolare della politica degli ultimi trent’anni.
Jason Horowits e Rachel Donadio tuonano sul New York Times su Berlusconi, tanto abile da cambiare le leggi per non essere condannato, così il tabloid cinese China Daily, che tratta la morte del tycon italiano come la fine di un controverso uomo d’affari che aveva fatto fortuna con la vendita di aspirapolveri (non lo sapevo).
Berlusconi non amava la Cina, scherzava affermando che con i nipoti di Gengis Khan alle porte saremmo stati costretti ad imparare il cinese. Ne denunciava i propositi egemonici e l’aggressività della sua economia senza regole. Le logiche d’impresa, si sa conducono lontano dai migliori propositi, poco importa se le sue attività di telecomunicazione acquistavano tecnologie Huawei per il gruppo Mediaset. Sicuramente la propria visione del potere lo faceva edibile a Putin, che pareva davvero commosso in una commemorazione pubblica per la sua morte, ma incomprensibile ai cinesi che non sopportano l’ascesa di uomini ambiziosi e molto ricchi con giovani amanti, rispondendo all’esigenza di mostrare pubbliche virtù ed essere ricattabili nei vizi privati.
Americani e cinesi e poi tutti gli altri a ricordarlo per quello che era, un uomo d’affari vocato alla politica dotato di un personalissimo senso dello stato. Non si tratta di scomodare i grandi principi di stato o mercato e le inevitabili frizioni. Berlusconi era figlio di una media potenza con i piedi ben saldi nel novecento, nel modello delle tante piccole e medie imprese, che mostrerà nel nuovo millennio la vera indicibile zoppia dell’Italia.
Piccola grande Italia, periferia dell’Occidente che innova la politica mondiale. Il duce al comando, prima di trovare epigoni in Germania, Spagna e Portogallo e poi il “primo politico post moderno” (la definizione è di Alexander Stille), senza veri contenuti ma capace di mille promesse e di vendere sogni, prima di Trump e la nuova generazione dei populisti nazionalisti e globali, quale ossimoro, da Shinawatra a Modri, da Bolsonaro a Marcos.
Per quanto è in noi ci spiace un poco leggere gli sbrigativi articoli dei tabloid cinesi, come pure l’inedita notizia che Berlusconi sia stato prima di tutto un venditore porta a porta di aspirapolveri, forse il Cavaliere si sarebbe arrabbiato, più probabilmente una grassa risata.
‹… fàbula› (lat. «il dramma è finito»). – Parole attribuite dalla tradizione ad Augusto morente; esse corrispondono alla formula usuale con cui veniva annunciata in teatro la fine d’uno spettacolo. Per estens. si usano talvolta a indicare che si è giunti al termine di qualche cosa, e che non c’è più nulla da fare o da aggiungere.
23 giugno