Come si spiega il cambio di direzione dell’amministrazione Xi Jinping rispetto alla gestione dell’emergenza Covid Sars2?
È la domanda di fine anno.
Facciamo ordine e ripartiamo da dove ci eravamo lasciati. Sul tema abbiamo già pubblicato un primo articolo le settimane scorse.
I sinologi della stampa nazionale si appassionano e danno letture riprese dal libro dei desideri. “È stata la folla per le strade a far cambiare direzione alla Cina di Xi Jinping!”, tuonano, come se la pancia del paese possa determinare le scelte della politica a Pechino. La pancia che duole non è richiesta di democrazia, ma solo urlacci e contumelie per le limitazioni imposte, le tasche vuote e le preoccupazioni per il giorno dopo (laggiù non è dato pensare troppo avanti).
Disordini o meno, l’amministrazione ha cambiato strategia dal giorno 8 di dicembre.
Mai più cittadini serrati a casa a milioni per pochi casi. Il Covid Sars 2 è cambiato tuona il governo, tutti liberi perché la nuova variante egemone è un affare da poco, quasi un’influenza. A distanza di poche settimane si racconta che gli ospedali si riempiono, che le fabbriche chiudono e la Cina viva oggi quanto è stato vissuto da noi un anno fa, con numeri crescenti fino a 250 ml di persone infette nell’ultimo mese, vi è chi parla di 1 ml di prossimi decessi. I voli che arrivano dalla Cina all’aeroporto di Milano Malpensa dopo Natale sono soggetti a controlli volontari ai viaggiatori, segnalando una percentuali di positivi pari al 50%. Grottesca evidenza dell’indifferenza dell’amministrazione Xi Jinping alla salute pubblica globale e quanto siano stati sciatti i governanti europei a non imporre immediatamente limitazioni e controlli. Si chiudono i cancelli quando la peste è tornata a dire dell’esperto e si annuncia pericolosa, mentre le azioni del lusso registrano progressi, in previsione della fiumana di turisti ricchi, infetti e spendaccioni in astinenza da shopping da quasi tre anni. Chapeau Monsieur Arnault!
Scritto questo, forse la questione potrebbe essere derubricata all’inefficacia dei preparati di produzione cinese, come abbiamo constatato negli ultimi due anni ed all’evidente sfiducia dei cittadini che si sono vaccinati. Chi può, dove può, penso ad Hong Kong ha privilegiato i vaccini occidentali al nazionale Sinovac.
Nel bistrattato Occidente le scelte di politica sanitaria sono soggette a riflessioni e polemiche, dibattiti ed analisi a fondamento scientifico, in una sola parola approfondimenti che riguardano i campi dei diritti degli individui, della politica, della bioetica. Un esempio di ottima riflessione è contenuto nel contributo nell’articolo interdisciplinare di biologi ed economisti, Rational policymaking during a pandemic, tra i cui autori abbiamo il premio Nobel Lars Peter Hansen, ma anche gli italiani Valentina Bosetti e Massimo Marinacci. L’articolo marca la necessità di creazione di modelli capaci di affrontare la sfida pandemica.
“I decisori possono esaminare le proprie decisioni chiedendosi se possano essere giustificate con una regola formale”, spiega Massimo Marinacci in un’intervista a Sirio Legramanti, “Usate in questo modo, le regole decisionali formali possono aiutare i decisori a chiarire il problema, testare le loro intuizioni ed evitare alcuni errori di ragionamento documentati negli studi psicologici, tra cui le distorsioni indotte dalla ricerca di conferme e dall’ottimismo”.
“In termini pratici, per garantire che le scelte politiche siano in linea con le regole formali di decisione, si potrebbe includere un analista delle decisioni nel gruppo dei consulenti. Ciò aiuterebbe i politici non solo a tenere conto di tutte le fonti di incertezza nel prendere decisioni, ma anche a comunicare questa incertezza in modo trasparente, sia ai cittadini, sia a potenziali commissioni d’inchiesta. Mostrare il grado di incertezza che circonda i dati scientifici utilizzati nelle scelte politiche è utile a mantenere la fiducia del pubblico ed evitare che singoli sedicenti esperti influenzino eccessivamente sia i cittadini che i politici”.
Avviene lo stesso in Cina? No. Non dubitiamo che gli uffici studi dell’amministrazione cinese abbiamo passato questi anni a valutare l’impatto del virus di Wuhan, senza però rendere pubblici i dati perché una riflessione pubblica sul tema non può essere in agenda. Il tema non è quindi la gestione dell’emergenza, tra lockdown, controllo sanitario ed aperture, ma il modello di formazione delle decisioni pubbliche nei modelli democratici e quelli non partecipativi.
La vecchia teoria di Kurt Lewin ricorda che modello autocratico del potere si fonda su decisioni di pochi, che hanno il pregio di essere rapide nella formulazione ed il difetto di non essere oggetto di valutazione complesse, che comprendano tante voci ed istanze per arrivare ad una sintesi di compromesso. La gestione pandemica di Xi Jinping ha mostrato caratteristiche uniche, ma prevedibili: limitati imput dal mondo esterno, le principali decisioni sono approvate personalmente dal leader, che dirige i metodi ed i processi del proprio gruppo ristretto di lavoro costruito sulla fedeltà all’uomo. Il mantenimento dello status quo rimane la priorità della leadership prima di qualsiasi altra opzione. In definitiva nulla di nuovo, se un leader chiuso nelle proprie stanze, distante dal proprio paese, che prende decisioni figlie dei propri desideri. Ciò che avviene oggi in Cina non è poi tanto distante dall’abbaglio ucraino di Putin, una sciocchezza senza fine di un uomo al comando.
Non ci rimane che rivalutare, ancora una volta, la nostra stanca e derelitta democrazia ed i suoi modelli imperfetti di condivisione delle informazioni e scelte di salute pubblica.
Per il 2022 è abbastanza, ci vediamo il prossimo anno.
29 dicembre