“Sarò il nuovo ministro dell’economia, serve un cambio di passo”, così primo ministro malese Ibrahim Anwar alla stampa.
La ripresa dall’economia dalla crisi pandemica è stata soddisfacente, una crescita di oltre il 9% nei primi tre trimestri del 2022 e le previsioni per il 2023 sono per un outlook positivo del 4/5%, ma un’inflazione al 4,5% erode il potere d’acquisto.
Anwar si è preso il ministero dopo aver assunto l’incarico di primo ministro, a distanza di oltre trent’anni dalla sua prima volta al governo.
Anwar rappresenta una storia di forza e resistenza. Il primo ministro ha ormai 75 anni, ma dichiara che la madre ne ha vissuti oltre 100 ed i geni della longevità sono con lui e non lascerà il posto a qualcuno più giovane tanto presto. Ha vissuto anni come leader dell’opposizione in un partito moderato e non confessionale, aperto al mercato ed alla trasparenza. Anwar è orgogliosamente musulmano, ma laico nel non voler imporre le prescrizioni islamiche ad un paese diviso da tante anime e sensibilità.
Una vita vissuta come fosse una traversata del deserto. E’ sopravvissuto a scandali che avrebbero potuto distruggerlo e che lo hanno portato a passare anni in carcere.
E’ il ministro delle finanze tra il 1990 ed il 1998 quando entra in contrasto con l’onnipotente Mahathir, il padre fondatore della moderna Malesia. Anwar voleva mettere mano al sistema delle prebende e clientele, su cui si fondava il potere di Mahathir ed aprire il mercato agli investimenti esteri.
Siamo nel 1997 quando la rigidità del modello economico della Malesia la pone al centro della crisi della crisi delle tigri asiatiche. È la resa dei conti quando Anwar nel 1998 è accusato di corruzione e sodomia ed arrestato senza processo. I procuratori affermano che ha rapporti omosessuali con il suo assistente presentando come prove d’accusa liquido seminale rinvenuto su un materasso. Mahathir parla di lui come un colpevole prima della condanna. Anwar è sommerso dal fango, verrà assolto solo nei 2004.
Il tempo di ritornare alla politica per ricevere una successiva accusa di sodomia nel 2008. I testimoni paiono poco credibili ed infine ritrattano. Amnesty International interviene in sua difesa, ma la corte stabilisce una condanna a nove anni. La prigione ed infine la grazia reale del 2018 quando il suo partito vince le elezioni.
Sarà il novantenne Mahathir, l’uomo che lo condannò prima della corte nel 1998, a condividerne il potere con un governo di coalizione perché la Malesia è un paese curioso ed imprevedibile, dove i nemici di ieri saranno gli alleati di domani e nemici il giorno dopo.
La storia diviene cronaca di questi giorni, con la vittoria di Anwar alle recenti elezioni politiche.
La Malesia aveva voltato le spalle a Razak, il delfino di Mahathir che si trova in carcere, primo ministro reo di una sottrazione di capitali pubblici per oltre 4,5 miliardi di dollari di cui abbiamo recentemente raccontato lo scandalo. Anwar sale al potere e promette di arrivare ai cent’anni, un’esagerazione, ma davanti a lui non ha rivali. Mahathir è vicino al secolo di vita, non viene rieletto ed è stanco.
Anwar parla della sua ricetta economica che pare non essere cambiata dagli anni 90: tagli ai sussidi, lotta alle vecchie clientele, indipendenza della magistratura ed aperture agli investimenti esteri. La nuova sfida sarà la tutela del potere d’acquisto.
L’Economist in un recente editoriale ricorda che i buoni propositi di Anwar sono minati da una forte opposizione islamica, che vorrebbe vedere il paese divenire un faro dell’islamismo salafita ed un re che lo guarda con sospetto. Dei vecchi politici malesi rimane il vizio antico dell’antisemitismo ed una vicinanza eccessiva a qualche paese del golfo un poco canaglia, come l’Iran, i cui cittadini non necessitano di visto e qualcuno parla di Kuala Lumpur come hub del terrorismo e del malaffare islamico.
Il quotidiano israliano Haaretz è moderatamente ottimista dell’elezione di Anwar e noi dobbiamo esserlo con lui.
12 dicembre
Manifesto elettorale malese
Jom Ubah ovvero Facciamo cambio