L’imperatore rosso è davvero l’uomo più potente del mondo?
Il congresso del partito comunista cinese è pronto ad incoronarlo a vita ed a riconoscergli una dignità pari a quella di Mao Zedong. La stampa cinese lo celebra come padre della patria della “nuova era” di prosperità a “modernizzazione socialista”. Si contano a decine gli editoriali dei giornali occidentali che ne raccontano la storia personale e politica. Dalla condanna a morte del padre, responsabile della propaganda del partito e della madre – mai eseguite – epurati dalla rivoluzione culturale, alla brillante carriera come governatore dello Zhejiang quale nemico della corruzione.
La Cina di Xi Jinping dal 2013, anno della sua incoronazione, è cresciuta molto ma ha perso equilibrio.
Osserviamo la disordinata crescita immobiliare, il crollo demografico – si pensi al paradosso della maggiore voce di spesa del Pla People Liberation Army cinese siano le pensioni di 57 milioni di veterani – la disoccupazione giovanile al 20% ed il prezzo della spedizione di un singolo container dalla Cina più costoso di una decina di volte, che vale più di mille parole sulla crisi della globalizzazione, la gestione del virus di Wuhan che ci pone domande sugli arsenali biotecnologici cinesi, i tentativi di autarchia mascherati da lockdown sanitario, la fuga dei capitali dalla piazza finanziaria di Hong Kong, i ruggiti che paiono starnuti a Taiwan – “spero meliora” penso a Cicerone.
Xi ha blandito il mondo, ma il mondo ha compreso che la volontà egemonica della Cina è tossica e non si può fare far finta di nulla. Nel passato altri leader cinesi avevano preferito dissimulare le ambizioni personali e cesaree, accettando i termini delle rotazioni delle cariche nelle istituzioni, ma non Xi che una volta raggiunta la vetta del potere ha deciso di farsi trino (tre mandati) eterno e sine die.
I giornali parleranno del trionfo di Xi al Congresso e di folle gaudenti, di nuove sfide per la Cina, che vuole essere prima economia del mondo, ma io torno ad Esopo ed alla fiaba dell’asino che trasportava un idolo. Scelgo la versione rinascimentale di Andrea Alciato, filosofo raffinato e coltissimo, perché sotto le stelle tutto muta ma tutto resta uguale mentre l’ambizione si trasforma in hybris.
XXXV – Non te ma alla religione
Uno sciocco asinello portava una statua di Iside, e aveva sul dorso ricurvo i venerandi misteri. Così qualsiasi passante adorava riverente la Dea, pronunciando il ginocchio le pie preghiere, ma l’asino credeva che tanto onore fosse rivolto a lui stesso, gonfiandosi ben pieno di superbia, finché lo stalliere frenandolo a colpi di sferza disse: “Non sei tu il Dio, asinello, ma il Dio che porti”.
XXXV – Non tibi sed religioni
Ifidis effigiem tardus gestabat asellus,
Pando verenda dorso habens mysteria.
Obvius ergo Deam quisquis revenenter adorat,
Piasque genibus concipit flexis preces.
Ast asinus tantum praestari credit honorem
Sibi, et intumescit admodum superbiens:
Donec eum flagris compescens dixit agaso,
Non es Deus tu aselle, sed Deum vehis.