Tema per pochi volenterosi, si astengano i distratti perchè viene richiesta attenzione.
Il concetto di Pax marcatoria è definito dallo scienziato politico Jim Chen, un professore della Michigan State University afferma che il mercato e la globalizzazione possano produrre stabilità di sistema:
“In the public sphere, pax mercatoria represents the peace dividend that develops when free trade makes nations too busy and too rich to fight”
“Nella sfera pubblica, la pax mercatoria rappresenta il dividendo della pace che si sviluppa quando il libero commercio rende le nazioni troppo occupate e troppo ricche per combattere”.
Chen sostiene che il mercato sia capace di eliminare le ragioni di uno scontro nel raggiungimento di un beneficio comune.
Ne abbiamo già scritto, il mercato non risolve i problemi della rappresentanza, della giustizia sociale e la sfida ecologica e dell’ambiente, gli stati sono sistemi complessi ed in divenire, dotati di storia, identità e cultura, ma è l’economia che determina il tempo e le necessità.
La grande storia di questi anni si caratterizza nell’affermazione di una Weltherrschaft dei sistemi illiberali. Tuttavia le volontà egemoniche di Cina e Russia divergono in modo evidente.
La Cina ha fatto propri i mercati del mondo per affermare il proprio potere, ritiene di avere il tempo dalla propria parte, erode le aspirazioni di paesi confinanti attraverso un lento processo di definizione di Lebensraum e di stritolamento finanziario attraverso la leva creditizia. La Russia vede il proprio tempo in esaurimento, mostra i muscoli, arma i suoi cannoni e dichiara guerra ad Occidente come fossimo nel XVIII secolo.
La retorica russa di Sergej Kagaranov – l’ideologo di Putin – parla del grande ritorno della Russia dopo il crollo dell’Unione sovietica e gli anni del disordine e dello sbando dopo la caduta dell’impero.
https://www.rt.com/russia/550271-putin-doctrine-foreign-policy/
Ma sono i dati dell’economia e del commercio, che stabiliscono l’esatta dimensione e rilevanza del paese che vive sulle rendite degli idrocarburi piuttosto che sugli investimenti in attività produttive – la Russia pare figlia della penna di Goncarov quando racconta la vita di Il’ja Il’ič Oblomov, un uomo inetto ed indolente che vive di rendita.
Veniamo ai numeri:
Oggi il gdp della Russia è poco più di quello della Spagna ed inferiore di quello dell’Italia
https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.CD?locations=RU
Il gdp pro capite è di soli 10.000 dollari annui e la popolazion di circa 145 milioni di abitanti
https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.PCAP.CD?locations=RU
Il gdp della Russia è formato per il 40% di gas ed idrocarburi – che a seguito della rivoluzione green mondiale – varranno molto meno
https://warsawinstitute.org/russias-economy-becoming-heavily-dependent-hydrocarbons/
Il restante 60 % del gdp russo è formato da servizi per il 50% ed agricoltura per il 3%. La produzione industriale non legata al gas ed ai conbustibili fossili è nei fatti modesta.
Il gdp della Russia investe oltre il 4% in spese militari, dove abbiamo le vere eccellenze del paese in armamenti e warfare informatica.
https://data.worldbank.org/indicator/MS.MIL.XPND.GD.ZS?locations=RU
Pochi giorni fa avevamo fatto osservare come la svolta green – la rivoluzione necessaria alle economie del mondo oltre che al mondo – colpisse in modo diretto la Russia, dotata di un’economia arretrata. Mosca aveva battuto i pugni sul tavolo ed aveva ottenuto più tempo prima che il gas metano fosse escluso dai piani energetici europei.
Joseph Stiglitz dalle pagine dell’Internazionale, ricorda che questi saranno gli anni in cui i grandi produttori di idrocarburi e le grandi compagnie cercheranno di mietere extra profitti, perché i modelli di consumo energetico sono il nuovo divenire. La scelta russa è quella di una compagnia petrolifera, che cerca di cambiare le regole dei mercati quando le proprie concessioni sono a termine.
Angelina Davydova sulle pagine del sito della BBC lo scorso novembre, descriveva l’inerzia con la quale la Russia affrontava la transizione ecologica ed il tramonto dei combustibili tradizionali, con la convinzione che la partita non sia ancora chiusa:
“In the next 20 to 30 years, industries related to oil and gas will remain one of the pillars of Russia’s economy,” says Alexey Miroshnichenko, first deputy chairman of Russia’s state development bank, VEB. “Even in the long term, renewable and conventional energy sources will coexist.”
“Nei prossimi 20-30 anni, le industrie legate al petrolio e al gas rimarranno uno dei pilastri dell’economia russa”, afferma Alexey Miroshnichenko, primo vicepresidente della banca di sviluppo statale russa, VEB. “Anche a lungo termine, le fonti di energia rinnovabili e convenzionali coesisteranno”.
https://www.bbc.com/future/article/20211115-climate-change-can-russia-leave-fossil-fuels-behind
Parag Khanna nel suo saggio di geopolitica Connectography – le mappe del futuro ordine mondiale – del 2016 (pagina 270 e seguenti), osserva che “se molti confini post sovietici sono arbitrati e malleabili, i gasdotti frontalieri sono stabilmente connessi alle risorse degli idrocarburi del sottosuolo. Quella su cui possiede il territorio sotto, o attraverso il quale passano, le condutture … per Mosca è l’alterazione delle sue esportazioni di gas a costituire un atto di guerra, non l’uccisione dei suoi mercenari mascherati impegnati nell’Ucraina orientale.”
La retorica della grande Russia o la follia di un leader solo al potere è letteratura per gli amanti dei salotti. I maggiori analisti strategici da Paul Kennedy a Luttwak vedono nelle mosse di Putin un azzardo militare ed economico, figli di un processo decisionale tattico piuttosto che strategico, in un mondo interdipendente, connesso e verde che non conosce o rifiuta di riconoscere.
Rimane la minaccia nucleare, tema rilevante, ma la più grande preoccupazione mondiale è la stabilità dei sistemi economici e scambio, i prezzi dell’energia ed il commercio globale.
Poche settimane fa Andrei Kolesnikov e Denis Volkov del Carnegie Moskov Center hanno scritto:
“As Moscow finally wakes up to the reality of climate change, the prevailing attitude among members of the ruling class appears to be that there is enough oil and gas to keep the state coffers full, buy voters’ loyalty, and control civil society and the media for as long as the country’s current leaders are in power (until 2036, when President Vladimir Putin may at last have to step down). What comes after that does not concern them: “After us, the deluge.”
“Mentre Mosca finalmente si rende conto della realtà del cambiamento climatico, l’atteggiamento prevalente tra i membri della classe dirigente sembra essere che ci sia abbastanza petrolio e gas per mantenere piene le casse dello stato, comprare la lealtà degli elettori e controllare la società civile e i media fintanto che gli attuali leader del paese saranno al potere (fino al 2036, quando il presidente Vladimir Putin potrebbe finalmente dover dimettersi). Ciò che viene dopo non li riguarda: «Dopo di noi, il diluvio».”
Il tema non è inedito, perchè la fine dell’epoca dell’oro degli idrocarburi rappresenta il grande tema della geopolitica contemporanea.
Le tensioni dei paesi arabi degli ultimi venti anni e dell’islam salafita, fino alla risposta dei più accorti amministratori, come Muhammad bin Salman e la sua “Vision 2030” per la modernizzazione dell’Arabia Saudita, fino alla nuova stagione di Dubai e degli Emirati Arabi Uniti aperti a finanza e turismo.
Nell’articolo The era of gulf’s oil empire is coming to an end pubblicato su “The Print”, David Fickling ha scritto:
“The monarchies have surfed a remarkable tide of wealth over the past half-century or so, but every wave eventually crashes. Future generations will never again see the wealth that current subjects enjoy.”
“Le monarchie hanno cavalcato una notevole ondata di ricchezza nell’ultimo mezzo secolo o giù di lì, ma ogni onda alla fine si infrange. Le generazioni future non vedranno mai più la ricchezza di cui godono i soggetti attuali.”
Passiamo alle conclusioni.
Possiamo leggere con vivo interesse la retorica novecentesca di Kagaranov, l’ideologo del Cremlino, il riscatto russo dopo gli anni dell’umiliazione, l’Impero, il faro di civiltà per il mondo, la spiritualità della terza Roma ed il suo accerchiamento da parte di forze ostili, fino al Russkij Mir, ovvero il mondo russo, che include tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica. Possiamo leggere Kagaranov dicevo, considerandola la cornice del pensiero imperiale, ma rimane l’idea sottile che l’azzardo di Putin – chi potrà mai più considerarlo affidabile – è stato rovesciare il tavolo verde di Greta per ribadire lo status quo ed il primato degli idrocarburi, non volendo rinunciare alle più grandi riserve di gas del mondo, le sole che sostengono un paese dall’economia vecchia ed obsoleta e le proprie èlite.
https://www.worldometers.info/gas/gas-reserves-by-country/
1 marzo