La candidatura di BongBong Marcos junior, figlio del dittatore che per trent’anni governò il paese con pugno di ferro, apre ufficialmente i giochi per le elezioni presidenziali filippine.
L’analista Max Ferrari, esperto di politica del far east pacifico, ammonisce che la recente visita di Marcos junior all’ambasciata cinese ribadisce i legami con Pechino. Nessuno dimentica che Bongbong aveva approvato la svolta filo-cinese del presidente Duterte, senza che le grandi promesse di investimenti ed infrastrutture nel paese si realizzassero, mentre le cannoniere di Pechino occupano piccole isole ed atolli facendone basi militari, mentre pescherecci di Pechino intensificano la pesca intensiva in acque filippine.
I blocchi elettorali sono oramai definiti: l’attuale vicepresidente Leni Robredo guarda agli Usa come l’esercito ed il potere giudiziario, Marcos junior a Pechino con la compiacenza di Duterte, l’attuale presidente con un passato di giovane comunista.
Nel paese dove la corruzione è regola, mi conferma Ferrari, saranno i denari che sposteranno gli equilibri del confronto che non manchano alla dinastia dei Marcos.
L’enorme ricchezza dei Marcos ha una storia tanto singolare che merita di essere raccontata. Gli avversari di BongBong ricordano che trent’anni di presidenza e dittatura siano la risposta più ovvia. Imelda la moglie del dittatore, la collezionista seriale di scarpe al punto che quando fuggì negli Stati Uniti, la città di Marikina decise di ordinare la collezione e farne un museo, ha avuto una risposta che sbalordisce.
“Avevamo una ricchezza tanto grande che a raccontarne avremmo provato imbarazzo”, dichiarava Imelda Marcos alla stampa nel 1992 sostenendo e tale fortuna deriva dal ritrovamento di un tesoro fatto di lingotti d’oro e stimato miliardi di dollari. Pochi anni prima una corte di giustizia delle Hawaii aveva accertato che un tesoro c’era davvero, che era stato scoperto dal ricorrente, il generale filippino Rogelio Roxas ma poi trafugato da Marcos. Roxas scoprì il tesoro nel 1971 ma non disse nulle per anni avendo paura per la propria vita, presentando la propria istanza ad un tribunale statunitense dove Marcos, una volta cacciato dalle Filippine, viveva gli ultimi anni della sua vita.
La corte suprema della Hawaii concluse che Marcos doveva restituire quasi 20 milioni di euro, nulla rispetto ai miliardi di cui parlava Rogelio Roxas.
L’oro dei Marcos ricorda la vicenda dell’oro di Dongo, un bottino di guerra, tanti morti e tanti misteri. L’ipotesi più accreditata è che si trattasse di quanto predato da un reparto speciale dell’esercito nipponico durante la seconda guerra mondiale. Il generale Yamashita, a capo del progetto, si era impadronito delle riserve auree dei paesi occupati, dalla Birmania alla Thailandia, all’Indocina francese alla Malesia inglese.
Giustiziato per crimini di guerra prima di poter raccontare la propria storia, Yamashita portò nella tomba il segreto del suo oro e di una misteriosa statua di Buddha d’oro massiccio.
Del tesoro non si è saputo nulla per anni, durante i quali molti si misero alla sua ricerca e divenne argomento di saggi storici, romanzi d’avventura e film di genere, fino al ritrovamento del generale Roxas ed il trafugamento di Marcos.
Il tesoro di Yamashita valutato 20 miliardi di dollari nel 1988 determinerà le elezioni a Manila? Probabile, dice Ferrari, se a Batangas, a sud di Manila, un voto per le presidenziali è in vendita per 1000 pesos meno di 20 euro.
7 novembre 2021
La Famiglia di Marcos intorno ai primi anni 70