“E’ facile raccontare di essere stati scippati della propria azienda o addirittura truffati? Non è facile raccontarlo e neppure sussurrarlo a mezza voce”, me lo dice Paolo, un imprenditore italiano che vive in Oriente da oltre venti anni ed ha costruito un gruppo di successo con oltre ottocento persone nel settore entertainment, food and beverage tra Sri Lanka, Thailandia e Stati Uniti, pochi anni fa era a Shangai.
La storia di Paolo è una tra le mille di cui abbiamo testimonianza, il partner cinese che non rispetta le regole e si appropria delle aziende di Joint Venture partecipate, dove il socio occidentale conferiva capitali e competenze sconosciute, narrazioni tutte diverse e tutte uguali a dispetto dello sbarco dei migliori studi legali italiani in terra di Cina per tutelare gli imprenditori nostrani, da Bonelli ed Erede a Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, allo Studio Previti.
“I cinesi dissimulano”, mi dice Paolo, “poco contano i contratti e pure meno l’idea che si possa costruire qualcosa insieme, è un mondo selvaggio e senza regole, Molti dei professionisti che lavorano in Cina suggeriscono soluzioni che nei fatti si mostrano inadeguate, penso alla pratica dei memorandum of understanding, spesso si accetta di andarsene senza recuperare neppure quanto è stato investito”.
In questi anni si molto parlato delle corti di giustizia cinesi, dice di Andrea Bernasconi dello Studio Previti: “La giustizia cinese è di buon livello ed è rapida.”, ma lo stesso Paolo mi dice che “non si può chiedere ad un oste se il vino è buono” e uno studio legale non ammetterà mai la verità delle cose.
“I cinesi hanno un diritto commerciali da vent’anni e se lo hanno fatto e per armonizzarsi con la disciplina delle norme del Wto, dichiarano che la loro giustizia è indipendente, ma nella sostanza pure il gruppo Yum, titolare dei marchi KFC, Taco bell e Pizza Hut con quasi mezzo milioni di dipendenti in Cina ha dovuto cedere ai partner locali dopo vicende mai chiarite”.
Paolo ha ragione e forse le cose sono più semplici di come sembrano, e sarebbe una buona regola ascoltare cosa dicono le autorità cinesi, perché l’arte della discrezione non è stata insegnata nelle scuole di partito quanto quella della dissimulazione. Lo stesso giudice supremo della Cina Zhou Qiang ha affermato che i tribunali cinesi non devono essere indipendenti dalle indicazioni del partito comunista al potere, perché in Cina la giustizia non può e non deve seguire i modelli universali del diritto, ma seguire la coerenza del socialismo cinese.
Mettere un euro in Cina in una società? Limitiamoci a vendere senza dilazioni di pagamento e dimentichiamoci per un paio di generazioni di fare altro.
1 ottobre 20